Cronaca
28 Novembre 2023
Il tribunale ha ritenuto colpevoli il 63enne Roberto Ori e il 47enne Mirko Rangon e gli ha inflitto 8 mesi di reclusione e 600 euro di multa

Truffa del cerotto mestruale. Arrivano due condanne

di Davide Soattin | 5 min

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Condanna a otto mesi di reclusione e 600 euro di multa. È quello che il tribunale di Ferrara ha deciso in primo grado per Roberto Ori, 63enne residente a Fiscaglia, e il 47enne Mirko Rangon di Adria, accusati in concorso per una maxi truffa da 75.000 euro ai danni di un noto neurochirurgo ferrarese, a cui i due avrebbero teso una trappola, raggirandolo dopo aver sfruttato un rapporto di conoscenza e stima reciproca instaurato col tempo.

La vicenda, denunciata dalla vittima a dicembre 2016, prende le mosse da una proposta di affare nel campo medico-farmaceutico che il più anziano dei due presunti truffatori propose al medico come filo conduttore di un piano architettato in ogni minimo dettaglio, che sarebbe consistito nella distribuzione di un cerotto contro i dolori mestruali.

I due quindi, dopo essersi recati in visita all’azienda depositaria del copyright sul prodotto paramedicale, dove uno staff tecnico di ingegneri illustrò loro il funzionamento della tecnologia che successivamente avrebbero voluto sviluppare, costituirono la società And Fil Srl, di cui Ori divenne amministratore con l’obiettivo di commercializzare il cerotto. Ma ben presto, con l’entrata in scena del secondo complice, si scoprì che le intenzioni erano altre.

Nell’assumersi il ruolo di responsabile commerciale e di produttore materiale dei cerotti infatti, mentre Ori e il medico erano rispettivamente incaricati di cercare clienti in Italia e negli Stati Uniti, Rangon aveva chiesto allo stesso neurochirurgo il pagamento di 12.500 euro per lo svolgimento di un’attività di consulenza a favore della stessa società, senza che però questa – come emerso da successivi accertamenti – fosse mai stata effettuata.

E non solo. Ignaro della malafede dei due ‘soci’, che lo avevano indotto a entrare in affari, il medico aveva poi versato, tramite bonifico bancario e consegna a manouna somma pari a 75mila euro (comprensiva anche dei 12.500 euro della consulenza fittizia, ndr) come finanziamento necessario per la costituzione della società, che i due però si sarebbero intascati prima di sparire e rendersi irreperibili, procurandosi – secondo l’accusa – un ingiusto profitto.

Per la Procura di Ferrara infatti, che aveva chiesto la condanna di entrambi a due anni e tre mesi e il pagamento di una multa di 900 euro, però quel cerotto “non è mai esistito” e i soldi versati dal medico “non sono stati assolutamente utilizzati per quel progetto che non è mai stato avviato“. Anzi, secondo quanto affermato dal pubblico ministero durante la sua requisitoria, quel denaro sarebbe stato “distratto a favore degli odierni imputati“.

Da qui la sentenza di condanna da parte del tribunale, arrivata durante l’udienza di ieri, lunedì 27 novembre, quando è stato chiamato a testimoniare lo stesso Ori, che ha fornito la propria versione dei fatti, così come aveva fatto Rangon in precedenza, respingendo qualsiasi tipo di accusa mossa nei suoi confronti, dal momento che, da quel progetto, ha affermato di non aver tratto “nessun vantaggio economico” arrivando addirittura ad “ipotecare la casa di famiglia e quella in cui abitavo“.

Per Ori, in realtà, quella che ieri è stata sentenziata in primo grado come truffa, sarebbe solamente il fallimento di un progetto iniziato con buoni propositi tra lui, il suo socio Mirko Rangon e il dottore. Poi però “abbiamo imparato sul campo che c’erano costi e problematiche e forse siamo stati troppo ottimisti”. “A tutti e tre è mancata la maturità imprenditoriale – ha aggiunto – per un progetto che prevedeva qualcosa che noi non conoscevamo. C’è stata una mancanza di oggettiva conoscenza delle attività sommata a una mancanza di comprensione e di pazienza che ci ha fatto arrivare ai ferri corti“.

Il riferimento dell’imputato, oltre che “agli errori e all’incapacità di colloquio tra di noi, che a volte avveniva per telefono quando eravamo innervositi o stanchi”, è a quella che lui ha definito “impazienza” da parte del neurochirurgo per i ritardi nel progetto, secondo Ori giustificati dal fatto “che il prodotto era ancora in corso di studio e di certificazione perché non volevamo mettere sul mercato un prodotto non testato che ci avrebbero potuto contestare e quindi ci sarebbe stato del tempo da aspettare“.

“A un certo punto però – ha proseguito l’imputato, riavvolgendo il nastro a novembre 2016 – il dottore mi disse che voleva indietro i suoi soldi. Gli dissi che non c’erano e mi rispose di mettere un’ipoteca sulla casa. Lo avevo già fatto. Concluse dicendomi di cancellare il suo numero e di non cercarmi più e aggiunse che ci saremo visti in tribunale. Io non feci altro, presi solamente atto di quello che lui aveva chiesto. Ma non mi aveva mai dato indicazioni, non si era mai lamentato di niente“.

In tal senso, rispondendo alle domande in aula su quello che era il rapporto intrattenuto con la vittima durante la durata del progetto, Ori ha concluso: “Avevamo dei contatti telefonici con cadenza settimanale perché lui era sempre molto impegnato e l’unica domanda che mi veniva fatta in quella circostanza era: quando iniziamo a guadagnare? Poi quando iniziavo a spiegare come stavano le cose, lui mi stoppava subito. Il suo comportamento non mi ha mai permesso di ragionare“.

Una versione che però non ha convinto fino in fondo il giudice che – come si diceva in apertura di articolo – ha condannato sia Ori che Rangon a 8 mesi e 600 euro di multa con la condizionale subordinata al pagamento della provvisionale da 75mila euro come chiesto dal legale della vittima, l’avvocato Massimo Bissi.

Le difese dei due condannati hanno fatto sapere che faranno appello.

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