La capra sulla rupe
21 Novembre 2023

Il “pacco” sicurezza

di Alessandro Chiarelli | 4 min

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La politica può essere vissuta in molti modi; può essere nobile, o gretta, interessata o disinteressata, trasparente o torbida

Nel pacco sicurezza, tra le varie misure sintetizzabili in “più galera per tutti”, dove tutti sono i poveracci, c’è una bizzarra norma che consente agli operatori delle forze dell’ordine di comprare, e portare fuori servizio, anche un’arma diversa da quella che hanno in dotazione. In che modo il cambio di pistola produca più sicurezza non è dato sapere, ma forse l’idea successiva è che gli agenti escano con due pistole.

Ma andiamo oltre. Andiamo al nocciolo della questione.

L’idea di fondo delle destre mondiali è che per qualche misterioso motivo, più armi ci sono (in mano ai buoni) e più la società sarà sicura.

L’equazione armi = sicurezza è anche il credo adottato negli Stati Uniti d’America; sappiamo bene come va da quelle parti. Se ci spostiamo dalla società degli uomini alla società della nazioni è anche peggio. L’accumulo di armi non ha reso più sicuro Israele, né la Russia, né Hamas, né l’Ucraina, né le Coree, né gli Stati Uniti stessi.

Se vai a vedere quali sono gli Stati più sicuri al mondo troverai; Islanda, Nuova Zelanda, Danimarca, Portogallo, Slovenia, Austria, Svizzera, Irlanda.

Sono paesi che non hanno eserciti potenti, non hanno bombe atomiche, e non hanno polizie armate fino ai denti. Eppure funzionano meglio.

Sì, le dinamiche sociali sono diverse (ma anche simili) in ogni luogo, e tuttavia l’evidenza, sia teorica che statistica, dice in modo inequivocabile che la sicurezza sociale non è una variabile dipendente dalla potenza di fuoco (pubblica e privata) presente all’interno di una comunità. Se le armi sono una variabile della sicurezza, lo sono in chiave peggiorativa.

Ma nella visione populista i sentimenti predominanti è sono la paura, la sfiducia, l’invidia sociale. In questa muffa sociale è cresciuto, come un fungo velenoso, il paradigma securitario che avvelena il legame sociale e nutre i peggiori sentimenti umani; diffidenza, egoismo, odio, aggressività.

Il ritratto dell’Italia di oggi, insomma. Non serve a nulla dimostrare che accumulare armi peggiora le statistiche criminali; il populista nemmeno le guarda le statistiche.

L’ obbiettivo di ogni politica securitarista è cementare il gruppo sociale di riferimento facendo gruppo contro il nemico di turno. Il leader populista sceglie di volta in volta i colpevoli dei problemi sociali e lo addita a nemico; che tocchi ai meridionali, ai migranti, ai soliti zingari, ai sempreverdi omosessuali, o ai grandi classici comunisti ed ebrei, la sostanza non cambia.

Il racconto populista ha bisogno di un nemico da odiare. Al cittadino che ha paura viene detto; compra una pistola. C’è un tizio nel cortile? Sparagli prima ancora di sapere cosa vuole da te.

Si tratta di una nevrosi collettiva. Il populismo non è che la trasposizione sociale di dell’impasse di colui che non sapendo affrontare il proprio disagio interiore, lo proietta all’esterno, usando un capro espiatorio che paghi per lui.

Essendo una proiezione, diventa una sorta di realtà parallela a cui questi soggetti aderiscono per salvarsi dalla loro paura. Il prezzo è che più questa adesione si struttura più devono rimanere distanti dalla realtà. Ogni strampaleria è ben accetta, no vax, complottismo; tutto va bene pur di non guardare allo specchio il proprio disagio.

Quando il disagio amministra la cosa pubblica, la politica diventa portatrice essa stessa di nevrosi, e poiché segue la falsariga della propria visione del mondo invece che la realtà, diventa irrazionale, priva di logicità persino.

Un piccolo esempio pratico di come funziona questa realtà alternativa nelle decisioni politiche.

Un processo decisionale amministrativo funziona (dovrebbe) così:

Si identifica l’obiettivo e il bisogno da soddisfare.  Si raccolgono informazioni sul tema. Si individuano le possibili soluzioni. Si valutano le conseguenze di ogni possibile soluzione. Si prende la decisione che garantisce più possibilità di raggiungere l’obbiettivo. A scadenze prefissate si verifica se e come gli obbiettivi sono stati raggiunti

Sarebbe interessante comprendere in che modo permettere agli operatori di polizia di comprarsi una pistola privatamente aumenterà la sicurezza dei cittadini. Piacerebbe conoscere le fondamenta del ragionamento. O più vicino a noi, piacerebbe sapere la genesi logica del processo che ha deciso l’adozione per la Polizia Municipale di Ferrara di armi da fuoco.

Quale era l’obbiettivo? Quando è emerso esattamente il bisogno? Chi lo ha individuato e come? C’era un problema di sicurezza degli operatori? Ci sono stati episodi in cui la loro salute è stata a rischio? Qualche intervento è finito male a causa dell’assenza di armi da fuoco? Il dato di realtà dice che niente di questo è mai accaduto. Sempre il dato di realtà ci dice che oggi, nei due anni successivi all’adozione delle armi da fuoco, non si è mai registrata l’utilità di averle (fortunatamente).

Concludo.

L’obbiettivo – come per ogni politica securitaria – era e rimane la conferma della realtà parallela che il populismo racconta; fatta di un mondo infestato da nemici ad ogni angolo di strada, nemici da cui bisogna difendersi soprattutto con le cattive maniere.

Conflitti a fuoco a Ferrara negli ultimi venti anni? Forse nessuno. Ma non importa, noi compriamo le pistole. L’amministratore populista sa che diffondere paura nella società è ad un tempo causa ed effetto della sua conquista del consenso.

La paura è il suo business.

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