Lo scorrere del tempo alleggerisce parzialmente la posizione due dei tre commercialisti imputati nel procedimento nato dal secondo filone, quello che vede attualmente coinvolte tredici persone tra consulenti fiscali e immigrati, della maxi-inchiesta Transfugio, le cui accuse, per quanto riguarda i reati di falso in atto pubblico e la violazione di una disposizione contro le immigrazioni clandestine, sono state ieri (lunedì 13 novembre) stralciate dal processo in corso nelle aule del tribunale di Ferrara per sopraggiunta prescrizione.
La vicenda è quella relativa all’operazione che, coordinata dalla Procura di Ferrara e portata avanti dagli uomini del Nucleo Economico-Finanziario della Guardia di Finanza, ha permesso di scoprire e smantellare – tra il 2014 e il 2019, a Ferrara e provincia – una rete di false dichiarazioni dei redditi per ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
Per quei fatti, lo scorso 21 settembre, ventisette posizioni, tra datori di lavoro e persone di nazionalità straniera, erano già state ‘salvate’ dalla prescrizione, nonostante le accuse a vario titolo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso in atto pubblico e induzione in errore di pubblico ufficiale che sono cadute a causa del troppo tempo trascorso dai fatti inizialmente contestati.
A dare il via alle indagini eseguite dalle Fiamme Gialle erano state diverse segnalazioni di natura amministrativa pervenute dall’Ufficio Immigrazione della Questura del capoluogo estense, destinataria di numerose domande per il rinnovo dei permessi di soggiorno da parte di cittadini extracomunitari residenti nella provincia ferrarese.
L’esame della documentazione fiscale redatta per il rilascio dei documenti di soggiorno aveva portato ad accertare, in molti casi, che i professionisti avevano richiesto all’Agenzia delle Entrate un’attribuzione solo “formale” della “partita iva” per i loro “clienti”, poiché quest’ultimi di fatto non hanno avviato alcuna attività di natura imprenditoriale: le attività dichiarate sono state le più svariate, dal commercio al dettaglio e all’ingrosso, alle attività di tipo artigianale o manifatturiere.
Nessuno dei “neo imprenditori” individuati aveva mai avuto una sede effettiva, attrezzature, macchinari, capannoni, dipendenti, né rapporti con clienti e fornitori. Così, a chiusura dell’anno fiscale, i consulenti compiacenti provvedevano a inserire nelle dichiarazioni presentate telematicamente al fisco per i loro clienti, i dati “artefatti” di una contabilità inesistente: dal fatturato alle spese, comprese quelle per l’eventuale personale dipendente.
Lo scopo finale delle decine di azioni criminose messe sistematicamente in atto almeno dal 2014 dai professionisti indagati era quello di consentire ai propri clienti di far figurare che possedevano il cosiddetto “reddito sociale superiore alla soglia minima“, pari a 5.983,64 euro, necessario per istruire le pratiche di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, e in particolar modo di quello cosiddetto di “lungo periodo“, il più ambito, perché consente di spostarsi liberamente e senza limiti temporali e di ottenere anche il ricongiungimento familiare. Il tutto, ovviamente, dietro compenso.
Il sistema illecito individuato dalla Guardia di Finanza di Ferrara era ben collaudato: i professionisti venivano contattati attraverso il classico “passaparola“.
Si tornerà in aula il 22 aprile, quando sarà sentita la sovrintendente della polizia di Stato, Annalisa Tralli, chiamata a testimoniare sulle posizioni dei migranti coinvolti nel procedimento.
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