di Nicolò Govoni
Una serata speciale mercoledì a Palazzo Roverella, organizzata dal Panathlon Club di Ferrara. Ospite del convivio è stato Andrea Giani, considerato tra i più grandi pallavolisti di tutti i tempi, protagonista della Generazione di Fenomeni della pallavolo italiana degli anni Novanta e riconosciuto come portavoce dei valori dello sport.
Dopo i saluti introduttivi della presidente del Panathlon Club di Ferrara Luciana Boschetti Pareschi, dei vicepresidenti Angela Travagli e Massimiliano Bristot, nonché del presidente Fipav provinciale Alessandro Fortini, che hanno insistito sulla larga partecipazione dei giovani alla serata, alla presenza dell’arbitro internazionale Giorgio Gnani il convivio è entrato nel vivo.
Il palmarès di Giani parla da solo: tre ori mondiali, quattro ori, tre argenti e un bronzo europei, sette World League, una Coppa del Mondo, due argenti e un bronzo alle Olimpiadi con gli Azzurri; e poi cinque scudetti e altrettante Coppa Italia con Parma e Modena, una Supercoppa italiana, due Coppe dei Campioni, tre Coppe delle Coppe, tre Challenge Cup, due Supercoppe europee e un mondiale per club. A questi successi si aggiungono i trionfi nella sua carriera da allenatore: “Ho iniziato nel 2011 come assistente della Nazionale italiana, con il bronzo a Londra”, ha esordito Giani. Poi, la Slovenia, paese di grande cultura sportiva: “Da trentanovesimi nel ranking mondiale siamo riusciti ad arrivare in finale europea. Con il lavoro quotidiano e il rispetto i risultati non sono scontati, e poi ci vuole la passione, soprattutto in uno sport monotono come il nostro, in cui serve ripetere i fondamentali”. Infine, l’umiltà: “Sacrificio, disciplina e passione, giorno dopo giorno, per superare i limiti, dettati dalla nostra volontà: così ho parlato ai ragazzi sloveni, e oggi sono settimi nel ranking mondiale”.
“La comunicazione tra allenatore e giocatore”, commenta Giani, “è la cosa più importante: ogni atleta necessita di un tipo di comunicazione diverso, bisogna capire quello di cui ha bisogno il giocatore, ed è questo lo strumento più importante per l’allenatore”.
In seguito, il trasferimento in Germania nel 2017: “La cosa bella di girare è imparare le culture che si incontrano: la pallavolo non è la stessa, è insegnata in maniera diversa, tanto che mi dispiace di non essere andato all’estero da giocatore. Ho rifiutato un’offerta dal Brasile, ma avere il coraggio di uscire dal nostro ambiente ci fa migliorare”. Adesso, Giani siede sulla panchina della Nazionale francese, con cui ha vinto la Nations League nel 2022. E la voglia di cantare l’inno quando incontra l’Italia? “È l’inno del mio paese, ma io sono allenatore di un’altra squadra, e ripeto le parole in testa. Le prime volte è stato difficile, ma questo è rispetto verso i giocatori e la federazione: anche la nostra Generazione di Fenomeni ha iniziato a vincere con un allenatore argentino”.
Altra componente fondamentale è l’agonismo: “È necessario per fare sport, non è negativo: si gioca per vincere e non si fanno favori, neanche contro l’Italia, anche se è la mia nazione, con cui ho vinto tanto; e se ci sarà la possibilità mi piacerebbe allenarla, ma non lo sento come un obbligo”.
Giani, nel passaggio da giocatore ad allenatore, ha assistito ai cambiamenti del gioco, soprattutto con l’inserimento del libero: “Io lo sopprimerei – scherza, ndr. È un ruolo che ha tolto tecnica a diversi giocatori, prima tutti facevano tutto: è cambiato il modo di giocare, tecnicamente una volta si facevano meglio determinate cose perché costretti a farlo, oggi c’è più fisicità e velocità”.
Il percorso di Giani inizia a 7 anni con i duri allenamenti di canottaggio, poi a 12 anni “il mio insegnante di educazione fisica mi ha consigliato di provare la pallavolo: ho toccato la palla e ho deciso giocare a pallavolo. La passione è determinante per fare le cose: riuscivo così anche a studiare, e mi è piaciuto entrare in una squadra, era divertente”. Per farlo, Giani ha lasciato casa a 15 anni, per trasferirsi a Parma: “La società ha permesso a me e Michieletto di giocare e studiare. Ma le mie radici a Sabaudia sono state importanti: qui ho vissuto tanti sport con gli amici, e andavo da solo a 13 anni ad allenarmi a Roma, ero ormai autonomo”.
Nella carriera da giocatore Giani ha ricoperto diversi ruoli: “Cambiavo ruolo fin da piccolo, e questo mi ha aiutato a farlo anche nelle partite importanti: sono un agonista e voglio vincere, e non ho mai accettato i cambiamenti come un egoismo, ma come un modo per aiutare la squadra a raggiungere l’obiettivo”.
Infine, un messaggio importante sulla pallavolo: “È l’unico sport veramente di squadra: possiamo toccare la palla una sola volta, e abbiamo sempre bisogno del compagno. I tre tocchi portano al rispetto: se non siamo in grado di aiutarci a vicenda, correggendo situazioni difficili, manchiamo di rispetto al compagno e perdiamo il punto”. D’altronde, “Io non mi sento un campione, ma Andrea Giani: ho avuto la fortuna e la bravura di aver vinto, ma mi reputo una persona normale. Umiltà è essere se stessi, e mi sento bene così, una persona normalissima”.
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