Tresignana
14 Giugno 2023
L'avvocato Denis Lovison chiede nuovi indagini e approfondimenti su padre e figlio e lo fa presentando opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Ferrara

Duplice omicidio di Rero. Il legale della famiglia Benazzi chiede di non archiviare i Mazzoni

di Davide Soattin | 4 min

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Tresignana. Ha chiesto nuove indagini e nuovi approfondimenti, l’avvocato Denis Lovison, e lo ha fatto nei giorni scorsi, depositando l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Ferrara per quanto riguarda le posizioni degli unici due indagati per il duplice omicidio di Rero del 28 febbraio 2021, in cui vennero uccisi a fucilate e poi bruciati i cugini Dario e Riccardo Benazzi.

Per farlo, il legale di parte offesa, che oggi assiste moglie, figlie e nipote di Dario Benazzi, ha basato la propria richiesta sul fatto che i due indagati, oltre a conoscere bene il luogo in cui si è consumata la tragedia – un appezzamento di terreno individuato a circa novanta metri dalla loro casa – e le vittime, tanto che sarebbero riusciti ad avvicinarsi a loro con un fucile da tiro al piattello per esplodere almeno tre colpi a distanza ravvicinata, avrebbero avuto in passato con i due cugini anche alcuni diverbi.

Il primo relativo all’investimento e uccisione accidentale di un’oca dei Mazzoni da parte di Riccardo Benazzi, da cui nacquero anni di acredine, mentre il secondo riguardante l’esito nefasto del progetto di impianto eolico sviluppato da quest’ultimo, che portò all’indebitamento e al fallimento della società proprietaria del terreno (lo stesso in cui avvenne l’omicidio, ndr), con conseguente messa all’asta dei beni, tra cui l’abitazione dei due indagati, che sarebbero già stati costretti a vivere in un contesto di grave precarietà economica.

Ma non solo. Secondo Lovison, i Mazzoni avrebbero avuto la disponibilità di armi, avrebbero saputo usarle e sarebbero stati a conoscenza del munizionamento usato per il duplice omicidio prima degli esiti dell’autopsia. Nello specifico, già il 13 aprile 2021, quando ancora non era stata depositata la relazione del medico legale Marino, trasmessa alla Procura il 23 giugno 2021, intercettato, l’indagato si chiedeva perché stessero indagando lui e il padre, visto che loro avevano armi militari, non capaci di fare buchi così piccoli. In quel momento però, stando a quanto racconta il legale, a eccezione degli autori del reato, nessuno sarebbe stato a conoscenza né delle dimensioni dei pallini di piombo utilizzati per uccidere né della grandezza delle ferite.

L’avvocato ha insistito anche sulla tipologia di materiale con cui è stata riempita l’auto prima di essere data alle fiamme che, come rilevato dagli investigatori, sarebbe stato del tutto analogo a quello accatastato tra l’ingresso principale e il magazzino dell’abitazione dei Mazzoni.

Lovison sostiene inoltre che gli unici che avrebbero potuto avere un interesse ad allontanare i corpi dei Benazzi dal luogo di uccisione erano i Mazzoni, dal momento che il luogo di uccisione era troppo vicino alla loro casa e poteva indirizzare i sospetti su di loro. Mentre qualsiasi altro soggetto – secondo l’avvocato – avrebbe lasciato lì i corpi, senza correre il rischio di essere scoperto dopo l’uccisione, pur di spostare i due cadaveri.

Il legale della famiglia Benazzi, infine, riflette anche su quello che, in queste circostanze, viene definito alibi dei Mazzoni. Un alibi che, secondo lui, i due si sarebbero procurati prima ancora che il duplice omicidio fosse scoperto, andando ai lidi ferraresi in un orario che avrebbe convinto gli inquirenti della loro innocenza. Lì, stando a quanto sottolineato dall’avvocato, i due si sarebbero attivati per conservare uno scontrino fiscale che attestava la loro presenza a pranzo a Lido degli Estensi, che però sarebbe stato l’unico ritrovato dagli inquirenti, nonostante padre e figlio avessero l’abitudine di pranzare fuori tutti i giorni.

E ancora, Lovison ha avanzato dubbi anche sulla telefonata effettuata ai carabinieri da Filippo Mazzoni che, nel pomeriggio del 28 febbraio, avrebbe composto il 112 per una richiesta di intervento con l’obiettivo di fornire le proprie generalità ai militari e di comprovare la propria presenza al mare. Infine, dopo l’incendio dell’auto, verso le 21.26, i due – stando a quanto evidenzia il legale – avrebbero telefonato sempre agli uomini dell’Arma dicendo di aver notato movimenti sospetti davanti alla loro abitazione, dimostrando non solo di essere in casa in quel momento, ma anche la loro estraneità ai fatti.

Nel frattempo, però, è bene sottolineare che l’impianto accusatorio nella sua totalità non è mutato e ha portato i giudici della fase cautelare a non ritenere esistenti nemmeno i gravi indizi di colpevolezza a carico di Filippo e Manuel Mazzoni.

 

 

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