Cronaca
23 Marzo 2023
Il presunto capo dei Vikings/Arobaga sentito in tribunale a Ferrara: "Sono venuto in Europa per fare carriera come dj". La testimonianza di una ballerina: "Alla polizia disse che certe cose qui non si facevano"

Mafia nigeriana. Parla Dj Boogye: “Mai spacciato droga. Niente da spartire con i gruppi criminali”

di Davide Soattin | 5 min

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I Vikings? Protagonisti di alcuni film scandinavi visti in tv. Gli Arobaga? Una brutta parola in dialetto nigeriano. Gli Eye? Gli autori di un’aggressione nei suoi confronti di cui nemmeno lui sa dare spiegazione.

A parlare per la prima volta davanti al collegio giudicante del tribunale, presieduto dal giudice Piera Tassoni, con a latere Alessandra Martinelli e Andrea Migliorelli, è Emanuel Okenwa, meglio conosciuto come Dj Boogye, presunto vertice della mafia nigeriana a Ferrara e uno molto in alto nella scala gerarchica del clan dei Vikings/Arogaba in Italia.

Nonostante ciò, in aula, l’imputato – arrestato nel 2020, in seguito all’operazione Signal, che portò alla cattura di 69 persone tra la città estense e Torino – ha fermamente sottolineato la propria estraneità rispetto alle accuse che oggi gli vengono mosse, affermando di non avere “nulla da spartire con i gruppi criminali” attorno a cui è ruotata l’inchiesta, di cui “non faccio parte e nemmeno ho mai sentito parlare”. “Non spaccio la droga – ha affermato – e non l’ho mai fatto in tutta la mia vita. Né ho usato persone per farlo“.

Okenwa, arrivato in Italia nel 2006, fino al momento dello sfratto aveva vissuto in una casa Acer di corso I Maggio, la stessa in cui venne trovato il machete dell’agguato in via Olimpia Morata, che era stata ottenuta dalla moglie, oggi residente in Germania con i figli, dove si era recata nel 2013 – secondo la propria versione dei fatti – per andare a visitare la sorella, senza però più fare ritorno a casa.

Lì, nell’abitazione di edilizia popolare situata in zona Gad, l’uomo è rimasto fino al 2019. Dopodiché, non volendo più pagare l’affitto, aveva deciso di trasferirsi da un parente che stava in via Oroboni, lasciando i propri effetti personali a una ballerina ferrarese – anche lei sentita durante l’udienza – di cui era il capo coreografo e a cui dava lezioni di ballo afro-beat. Una passione, quella per la musica, che lo portava spesso anche fuori città e che torna in maniera ricorrente nel racconto dell’uomo.

Sono venuto in Europa per fare carriera come dj” ha spiegato, prima di confermare di essere stato alla consolle dell’evento organizzato per la festa d’indipendenza nigeriana, patrocinato dal Comune, per cui, seppur avesse stabilito un costo per la performance – ha aggiunto – non prese nulla. “Ma lo facevo più che altro per la fama – ha proseguito – anche perché prendevo pochi soldi per una serata, tra i 300 e i 500 euro”.

Una voglia di notorietà che, come ha specificato nella sua deposizione, l’aveva spinto a lasciare Lagos, in Nigeria, nonostante – ha ribadito – le origini nobili della sua famiglia, date anche dall’appellativo ‘Prince’ che comparirebbe sui documenti nigeriani, ma non in quelli italiani. “Qua non lo accettano – ha raccontato – ma anche i miei figli devono averlo. La mia è una famiglia grande e di origini nobili e oggi è mio fratello che ha il potere. Abbiamo un sacco di proprietà e di terreni. Ma è lui che ha tutto nelle sue mani“.

L’esame dell’imputato si è poi soffermato su quei termini che, stando alle intercettazioni degli inquirenti, ricorrono spesso nei dialoghi tra le varie figure del clan. Su tutti la sigla ‘ff‘ che, secondo le indagini, starebbe a rappresentare il grado ricoperto da Dj Boogye nella scala gerarchica del club, mentre per lui altro non sarebbe che “una forma che si utilizza per dare rispetto a una persona più anziana”. Lo stesso vale per”Aro” che non sarebbe l’abbreviativo di Arobaga, ma vorrebbe dire ‘sangue‘. Nessuna spiegazione, invece, relativamente ai significati dei termini ‘Executional‘ e ‘Norseman‘ (entrambi risultati essere ruoli nella piramide organizzativa del gruppo, ndr).

A rivestire uno di questi ruoli era Felix Tuesday, anche lui imputato nel processo. “Lo conosco come dj perché lavorò con me a una festa” ha affermato Okenwa, sottolineando quindi un legame più che altro a livello professionale e non di tipo criminale tra i due. Lo stesso che emerge quando gli vengono fatti i nomi di Stephen Oboh – esponente del clan rivale degli Eye, definito “un giovane artista emergente’ – e degli altri imputati. “Li ho conosciuti quasi tutti a Ferrara perché venivano alle feste o perché, quando magari c’era un evento da celebrare, come la nascita di un bambino o un battesimo, mi chiamavano per fare il dj. Ma li conosco solo come nigeriani che abitavano in città e non come altro. E nemmeno ho avuto problemi o liti con loro“.

A proposito di liti e di Eye, Dj Boogye si è infine soffermato sull’aggressione subita nel 2020 proprio dagli Eye, incalzato dalle domande del pm Roberto Ceroni, che gli ha chiesto il motivo per cui quattordici persone lo presero di mira e lo malmenarono: “È un’ottima domanda. Non so che cosa gli abbia fatto. Mi hanno visto in bicicletta e mi hanno attaccato. Non so nemmeno chi erano, so solo che dopo avermi picchiato mi dissero «Noi siamo gli Eye», ma non feci una ricerca per capire che cosa volesse stare a significare quel nome”.

Una circostanza, quella del pestaggio, che viene raccontata anche dalla ballerina, di cui si era accennato in precedenza, sentita come testimone in aula, che ha confermato alcune affermazioni di Boogye, difeso dall’avvocato Laura Ferraboschi, aggiungendo altri particolari al fatto appena raccontato: “Quel giorno mi aveva telefonato con un’utenza tedesca e mi aveva chiesto di andargli incontro perché era pieno di sangue. Mi disse che l’avevano colpito e inizialmente mi ricordo che lo sgridai perché mi disse che era nella zona del Grattacielo“.

La donna – che nella sua deposizione ha descritto l’imputato come una persona a cui era legata solamente da un “rapporto musicale, che faceva un modico uso di marijuana e beveva solamente nei fine settimana” – arriva sul posto dopo circa mezz’ora dall’accaduto: “Mi raccontò che l’avevano colpito quattordici persone dietro la stazione e che venne soccorso da un suo amico. Il giorno seguente lo accompagnai in questura con il referto del pronto soccorso e mi ricordo che lo aiutai nella traduzione dei dialoghi con i poliziotti. A loro disse che non faceva parte della criminalità, che qui eravamo in Europa e che certe cose qui non si facevano“.

 

 

 

 

 

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