Si sono concluse dopo un anno esatto le indagini a carico di Michele Cazzanti, l’uomo che alle 11.10 del 3 marzo dello scorso anno sparò al collega di lavoro Roberto Gregnanini.
Quel giorno Cazzanti, 57 anni, funzionario del Protocollo del Comune di Ferrara, attese per un’ora fuori dall’ufficio, all’angolo tra piazzetta Schiatti e via Boccaleone, a Ferrara, l’uscita di Gregnanini, 60 anni, e con la Glock semiautomatica calibro 9×21 esplose otto colpi contro l’uomo.
Prima aveva sopraffatto fisicamente il collega, gettandolo a terra in una breve colluttazione e poi, da sopra, gli aveva puntato contro l’arma, azionando il grilletto da pochi centimetri, ma con mano, raccontano i testimoni, molto malferma forse anche per l’opposizione della vittima.
Dopo essere stato colpito all’addome, Gregnanini è riuscito a rialzarsi e fuggire via, portandosi verso corso Porta Reno, accasciandosi davanti al civico 2, sede di alcuni uffici, dove è stato soccorso da un agente della polizia municipale, prima dell’arrivo dei sanitari del 118.
La vittima rimase inizialmente ferita in modo grave all’addome. In ospedale verrà sottoposta a diversi interventi chirurgici e, dopo oltre sei mesi in terapia intensiva tra la vita e la morte, si spense lo scorso 9 settembre
Dopo l’agguato Cazzanti salì sulla vecchia Fiat Punto della madre e prese la via della Lombardia per fuggire. La Polizia lo intercetterà tra le province di Piacenza e Cremona.
La pistola era regolarmente detenuta da Cazzanti, che l’aveva acquistata in un’armeria e per la quale aveva ottenuto la licenza sportiva nel febbraio 2021. Il porto d’armi gli venne concesso nonostante il fatto che almeno a partire dal 2015 e probabilmente fino al maggio del 2020, Cazzanti era sotto terapia farmacologica con il Solian per curare i suoi disturbi, consistenti in ‘manie di persecuzione’, le stesse che sembrano essere alla base del tragico omicidio.
Tra vittima e carnefice infatti non correva buon sangue da tempo, ma la frattura sembra essere stata acuita dallo stato psicologico di Cazzanti, descritto come particolarmente fragile, con anche manie di persecuzione, peggiorato con la pandemia: pare che fosse – e che sia – un convinto novax, ossessionato dalle teorie del complotto. Sembra essere stato questo anche l’ultimo motivo di dissidio con la sua vittima. vissuto malissimo, al punto da riferire ai poliziotti, una volta fermato, di averlo aggredito perché Gregnanini lo perseguitava.
Il perito nominato dal giudice delle indagini preliminari Danilo Russo, lo psichiatra Luciano Finotti, ha confermato che quel 3 marzo Cazzanti non fosse capace d’intendere e di volere, avendo agito in preda al delirio e che oggi sia ancora socialmente pericoloso – potrebbe cioè compiere altre azioni simili, avendo già stilato una lista di suoi ‘nemici’ – e bisognoso di cure.
Rispondendo a un quesito della pm Isabella Cavallari, il perito ha spiegato che anche l’agguato, ovvero l’aver aspettato Gregnanini all’incrocio tra via Boccaleone e piazzetta Schiatti sia stato più che la dimostrazione di una premeditazione, l’estrinsecazione del delirio paranoico: in pubblico, secondo la sua mente, aveva subito una vessazione, in pubblico ha inteso porvi rimedio, colpendo colui che aveva inquadrato come l’origine di tutte le persecuzioni che sentiva di subire.
Per questo nel capo di imputazione vergato dal magistrato si parla di di omicidio e uso illegale di arma in luogo pubblico ma non di premeditazione. L’aggravante viene esclusa perché incompatibile con il vizio totale di mente che affligge l’imputato, attualmente in una Rems a Reggio Emilia.
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