
Michele Cazzanti
Non erano attesi e non ci sono stati colpi di scena nell’incidente probatorio sulla capacità d’intendere e di volere di Michele Cazzanti, l’autore dell’omicidio di Roberto Gregnanini avvenuto nello scorso mese di marzo in piazzetta Schiatti, dove la vittima è stata aggredita e raggiunta da un colpo di pistola all’addome risultato poi fatale.
Il perito nominato dal giudice delle indagini preliminari Danilo Russo, lo psichiatra Luciano Finotti, ha confermato che quel 3 marzo Cazzanti non fosse capace d’intendere e di volere, avendo agito in preda al delirio e che oggi sia ancora socialmente pericoloso – potrebbe cioè compiere altre azioni simili, avendo già stilato una lista di suoi ‘nemici’ – e bisognoso di cure.
Rispondendo a un quesito della pm Isabella Cavallari, il perito ha spiegato che anche l’agguato, ovvero l’aver aspettato Gregnanini all’incrocio tra via Boccaleone e piazzetta Schiatti sia stato più che la dimostrazione di una premeditazione, l’estrinsecazione del delirio paranoico: in pubblico, secondo la sua mente, aveva subito una vessazione, in pubblico ha inteso porvi rimedio, colpendo colui che aveva inquadrato come l’origine di tutte le persecuzioni che sentiva di subire.
Cura, quelle di cui abbisogna Cazzanti – che ieri si è presentato davanti al giudice ma non ha parlato – che non possono essere affrontate in carcere, dove è detenuto dal momento dell’arresto, bensì in una struttura specializzata – una Rems – che andrà individuata in un percorso di collaborazione tra difesa (avvocato Fabio Anselmo, in udienza ieri la collega Rita Gavioli) e la procura.
Ora le carte ritornano proprio in via Mentessi per la modifica formale del capo d’imputazione (fermo al tentato omicidio, poi divenuto consumato con la morte di Gregnanini, avvenuta il 9 settembre dopo un lungo calvario), la chiusura dell’indagine e la richiesta di rinvio a giudizio: si andrà comunque fino in Corte d’assise per chiudere il lato giudiziario della vicenda, passando per l’assoluzione per non imputabilità del reo e la dichiarazione di pericolosità sociale e l’applicazione di una misura di sicurezza idonea.
“È una persona che necessita di cure ed è chiaro che il regime carcerario non è quello più idoneo – commenta a margine dell’udienza l’avvocato Simone Bianchi, che assiste la figlia di Gregnanini -. È una situazione difficile e dolorosa per la famiglia della vittima, perché ha perso un caro senza che vi sia una vera giustificazione, un motivo”. A queste parole si associa anche l’avvocato Giorgio Bolognesi, che assiste la compagna di Gregnanini.
“È una vicenda tristissima e brutta – afferma l’avvocata Gavioli – sia per le persone offese, sia per chi formalmente è dalla parte di chi ha commesso il fatto, ma anche lui è una vittima, ha delle problematiche, anche lui ha la sua pena e non può scontarla in un carcere: deve affrontare un percorso di cura che gli permetta anche di poter capire e rendersi conto di ciò che ha fatto”.
A margine di tutto questo, rimane la questione sul perché Cazzanti avesse il porto d’armi nonostante il suo disagio psichico fosse conclamato al momento della concessione. Su questo gli inquirenti stanno svolgendo gli approfondimenti del caso.
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