di Cecilia Gallotta
Sei anni di raccolta fondi, tre anni di riprese, quattro produttori, 30 attori e due anni di pandemia: tutto questo non è bastato a frenare la venuta alla luce del film “Tre storie in bottiglia”, partorito dal regista ferrarese Giuseppe Gandini, che dopo 7 cortometraggi, un nastro d’argento e una serie tv per Rai Gulp, si è voluto dedicare ad una fiction che come fil rouge – e attore protagonista – ha nientemeno che il vino.
Come mai la scelta del vino?
È un prodotto che ha tantissimo da raccontare. Viene dalla terra ed è fatto dall’uomo, e narra dell’uno e dell’altro in maniera genuina, non filtrata. Oltre ad esserne un grande estimatore – sorride – credo che il vino porti con sé una versatilità incredibile per la narrazione, perché parla di gusto, di svago, di territorio, ma anche di lavoro e tanto altro. È uno dei prodotti più interessanti ed affascinanti, sul quale nel panorama cinematografico sono stati girati parecchi documentari, ma poca fiction.

Un film ‘tutto da bere’, insomma. Come e quando è nata l’idea?
Il progetto è nato nel 2015, e l’idea era di fare tre episodi, tre vicende che si snodano parallelamente: di qui la scelta del titolo. Ho però deciso di procedere un episodio per volta per quanto riguarda la ricerca dei fondi e le riprese, anche perché non è stato semplice andare alla ricerca di aziende vinicole, consorzi e produttori disposti ad abbracciare il progetto.
Come mai?
C’è ancora molta difficoltà da parte del mondo vinicolo a comprendere il potenziale valore di un investimento del genere. Ho visto che si è molto più disposti ad investire meno per un documentario da aggiungere ai tanti che sono stati realizzati che per un’idea così. Eppure, potrebbe avere risvolti inaspettati, perché con la fiction, se per caso andasse a finire su Netflix o canali del genere, per l’azienda vinicola significherebbe una visibilità enorme.
Dov’è stato girato?
Il primo episodio è stato girato a Montefalco, grazie al Consorzio del Sagrantino e alla Regione Umbria. Per il secondo ho trovato un imprenditore toscano vicino a Pisa, nel Chianti; il terzo invece, con un finanziamento privato, sono riuscito a girarlo a Castello di Torre in Pietra, vicino a Roma.
C’è anche un po’ di Ferrara nel film?
Ci sono parecchi attori ferraresi. Io ormai vivo a Roma da 30 anni, ma sono ferrarese doc, e conservo un legame particolare con la città estense. Tifo ancora per la Spal, e nel 2009 avevo fatto uno spettacolo teatrale che si chiama “Il cuore a ovest”. Mi piacerebbe farne una versione più recente, dato che nel frattempo c’è stata la serie A e tanto altro da raccontare. Vedremo se riuscirò a trovare i fondi.
Tornando a “Tre storie in bottiglia”, ci può svelare qualche anticipazione sulla trama?
Sì, il primo episodio è il più ‘estetico’ e anche il più drammatico. Narra della storia di un fotografo alla ricerca della foto perfetta, che come oggetto avrà, ovviamente, il vino. Nel secondo, il protagonista è un giovane rampollo di famiglia che attraverso un’obbligata esperienza in vigna, cambierà la sua visione del mondo. Il terzo è una storia romantica, una sorta di ‘Romeo e Giulietta’. Ho fatto anche una quarta ripresa, che vorrei utilizzare come trade union: l’immagine di un’enoteca in cui, dentro ogni bottiglia, si cela una storia. Ma devo ancora sviluppare quest’idea: da domani inizierò il montaggio, poi percorrerò la strada dei festival, e vedremo come andrà.
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