Tra sessanta e settanta persone vaccinate solo sulla carta. Chiara Compagno, una delle due dottoresse arrestate nel corso dell’inchiesta ‘Red pass’, ha ammesso ieri, durante l’interrogatorio davanti al pm Circo Alberto Savino, le proprie responsabilità per la falsa vaccinazione contro il Covid-19 di decine di pazienti che a lei si erano rivolti proprio a tale scopo.
“Si può dire che per un certo periodo Chiara Compagno è stata un medico schiavo nell’essere troppo schiacciata sulle richieste che le facevano i pazienti”, osserva uno dei suoi legali, l’avvocato Lorenzo Valgimigli, con un richiamo a Platone e Aristotele, “oggi sta tornando a essere un medico libero e lo sarebbe sempre stata se non avesse gravemente sottovalutato le esigenze di rispetto della legge”.
A differenza degli interrogatori di Marcella Gennari, già due quelli fatti e altri sono da programmare, quello di Compagno è durato poco, due ore, dalle 15 alle 17. Ha dato le sue spiegazioni, ha anche ammesso una serie di episodi avvenuti sia prima che dopo il periodo in cui è stata ‘spiata’ da procura e Guardia di Finanza e spiegato che le sue relazioni con le farmacie indagate per dei (presunti) falsi tamponi non avevano il carattere di un vero e proprio accordo, ma fossero più che altro una valvola di sfogo per le troppe richieste che si era trovata a gestire. Uno solo rimane l’episodio corruttivo che le viene contestato, perché ripreso proprio dalle telecamere, di una paziente che dopo varie insistenze – questo va sottolineato – riesce a consegnarle una busta con dentro 50 euro.
“Chiara Compagno è vaccinata, siamo pronti a prenderci le responsabilità per certi comportamenti, ma non siamo di fronte a una no vax – rimarca l’avvocato Valgimigli -. Non lo ha fatto per soldi, certamente”. Perché lo ha fatto? “Ha dichiarato che si è trovata in una situazione molto difficile – spiega il legale – in cui da un lato dei nutriva dei dubbi sull’efficacia dei vaccini e dall’altro lato aveva davanti una cosa che a Ferrara aveva assunto contorni più ampi: un numero rilevante di persone che, sia per i costi rilevanti dei tamponi che per altri motivi, faceva pressioni per avere green pass da quando è diventato obbligatorio per godere dei diritti civili”.
Compagno si è trovata così a dover “da un lato accogliere le richieste dei pazienti e dall’altro rispettare la legge”. E ha scelto la strada sbagliata: “Ha detto di aver gestito male questa tensione, prima si è fatta convincere per pochi casi e dopo si è fatta prendere la mano sulla base di una concezione sbagliata della cosiddetta relazione di cura, che l’ha portata ad essere troppo schiacciata sulle richieste che venivano dai pazienti. E se questo suo modo di prodigarsi in passato le aveva dato un certo successo professionale, è però vero che in questa situazione non ha saputo bilanciare bene il rispetto della legge con le richieste”.
Richieste provenienti da una fetta non esigua – relativamente parlando – di società ferrarese. “Forse è anche la città a doversi interrogare sul perché questo sia successo – ammonisce Valgimigli -, non vorrei che Compagno si ritrovasse ad essere un capro espiatorio di un fenomeno che a Ferrara è stato più vasto che altrove”.
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