“Entrambi erano sconvolti, il sovrintendente era rosso in viso e aveva in mano gli occhiali rotti. Mi disse di seguirlo, ma era passata più di un’ora dalla perquisizione, quindi siamo andati direttamente dalla comandante”. È un frammento della testimonianza di Giovanni Tarantino, ispettore della Sorveglianza generale del carcere di Ferrara, nel processo a carico di due suoi colleghi accusati di aver torturato il detenuto Antonio Colopi, la mattina del 30 settembre del 2017, nel corso di una perquisizione nella sezione nuovi giunti.
L’ispettore ha raccontato come aveva appreso della colluttazione tra il detenuto, il sovrintendente Geremia Casullo e l’assistente capo Massimo Vertuani (entrambi difesi dall’avvocato Alberto Bova), di aver ritenuto la comunicazione, avvenuta direttamente nel suo ufficio verso le 8,50, non tempestiva come invece prevede il regolamento in caso di eventi di quel tipo, e di aver deciso che la questione dovesse essere portata direttamente all’attenzione della comandante Annalisa Gadaleta.
Tarantino ha riferito più avanti che Casullo aveva anche un segno vicino a un occhio, e poi di essere andato a visitare Colopi per capire anche da lui cosa fosse accaduto, ma di aver visto che dormiva con le coperte completamente tirate su fino a coprirlo completamente e di non aver proceduto oltre, disponendo che venisse visitato da un medico appena si fosse svegliato. Il testimone, come altri prima di lui, ha precisato che dove fare le perquisizioni è una decisione che spetta al preposto, che in quel giorno era Casullo: è un dato importante perché la procura contesta che la perquisizione sia stata arbitraria.
Sulla non tempestività della comunicazione dell’evento vi è stata qualche osservazione da parte dell’avvocato Bova, che ha rilevato come Casullo e Vertuani si siano recati nell’ufficio dell’ispettore appena cinque minuti dopo che egli vi era giunto.
Dopo di lui è stato sentito il tenente colonnello dei carabinieri Gabriele Porta, che ha riferito sulle indagini svolte dal nucleo investigativo. Prima invece sono stati sentiti due agenti della penitenziaria che intervennero due giorni prima per una sfuriata di Colopi, che ruppe anche una finestra – forse in un tentativo di suicidio – e che conservò alcuni pezzi di vetro nei pantaloni e tra la rete e il materasso del letto, probabilmente per usarli come arma di difesa o attacco. Colopi, va ricordato, ha subito già delle condanne per aggressioni agli agenti in carcere.
Tra gli imputati – accusata di falso e favoreggiamento – vi è anche un’infermiera in servizio nel carcere, Eva Tonini, difesa dall’avvocato Denis Lovison. Il detenuto è parte civile assistito dall’avvocato Paola Benfenati del Foro di Bologna.
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