I nomi delle vincitrici di due bandi per assegnare assegni di ricerca di all’Università di Ferrara, il responsabile della commissione aggiudicatrice li conosceva da prima ancora che si svolgessero la selezioni.
Tanto da scrivere dei messaggi via WhatsApp e dirlo anche a voce a due aspiranti partecipanti che lo hanno interpretato come un invito a lasciar perdere, perché quei posti erano già ‘prenotati’ per due persone in forza a uno dei centri universitari di cui lui è direttore. Salvo poi ritrattare dopo essersi accorto di essersi spinto troppo in là.
Solo la manifestazione di un’intenzione, dice la procura, che non ravvisa reati; qualcosa di più, sostiene una delle ricercatrici suo malgrado coinvolta per aver visto sfumare una possibilità. Una vicenda dai contorni grigi, per la quale c’è stata un’indagine e c’è una richiesta di archiviazione, perché il grigiore, almeno nella ricostruzione del pm Ciro Alberto Savino, non è arrivato fino al punto d’integrare l’ipotesi di abuso d’ufficio, nemmeno nella forma del tentativo.
Anche se gli indagati sono formalmente tre, lo sforzo investigativo si è concentrato quasi tutto sull’autore della incauta rivelazione, ovvero il prof. Livio Zerbini: storico, archeologo, divulgatore, direttore del Se@, il centro di tecnologie per la comunicazione di Unife, che fu delegato del rettore e noto anche per il suo impegno politico in città.
La vicenda giudiziaria ha origine dall’esposto presentato dalle due aspiranti partecipanti alla selezione che si sono sentite dire che i posti a cui aspiravano erano già affare d’altri.
I bandi finiti sotto la lente d’ingrandimento della procura sono due, per altrettanti assegni di ricerca da circa 20mila euro ciascuno per “Studio di tecnologie per la didattica dell’antico con sistemi e-learning/streaming”, pubblicati nel febbraio del 2020 per il settore L-ANT/03 del Dipartimento di Studi Umanistici. Per entrambi il responsabile della ricerca era il professor Zerbini. Entrambe le procedure sono state revocate nel marzo successivo con doppio decreto dell’allora rettore Giorgio Zauli, e sempre con doppio decreto lo stesso rettore ha accettato le dimissioni della commissione.
La procura, nel corso delle indagini, ha fatto eseguire anche una consulenza tecnica, dalla quale emerge che le due vincitrici in pectore, quelle indicate come tali da Zerbini ed entrambe afferenti al Se@, non avrebbero potuto vincere la selezione: una perché addirittura priva di titoli per parteciparvi, l’altra perché con titoli inferiori ad altri candidati (entrambe, per la cronaca, hanno comunque vinto due bandi successivi, ma per un altro dipartimento).
Se il quadro fin qui delineato non sembra molto edificante, per il pm non ci sono però i requisiti minimi perché tutto ciò sia anche un reato, neppure nella forma del tentativo. Questo, da un lato, per via delle dimissioni della commissione che dunque non ha prodotto alcun atto che possa dimostrare che le cose sarebbero andate come prospettato da Zerbini. Dall’altro perché non è detto che gli altri due membri della commissione – la ricercatrice Rachele Dubbini e il prof Sandro Bertelli – avrebbero accettato supinamente di privilegiare le sue ‘prescelte’ a fronte di curriculum più attinenti: su di loro, d’altronde, non sono proprio emersi elementi nemmeno per sospettare una loro partecipazione alle (presunte, ovviamente) manovre di Zerbini.
Ma ancora la vicenda non è del tutto chiusa. Una delle due denuncianti, assistita dall’avvocato Salvatore Mirabile, ha presentato opposizione all’archiviazione, che si discuterà il 15 marzo davanti al gip Carlo Negri, chiedendo che sia un giudice a stabile se la lettura dei fatti data dal pm è corretta oppure se sia necessario un vaglio ulteriore.
“Dal nostro punto di vista – afferma l’avvocato Mirabile -, sbaglia la procura quando sostiene che non sia raggiunta la soglia del tentativo punibile: la rinuncia di Zerbini, che ha poi indotto alle dimissioni anche gli altri due membri, è intervenuta all’inizio della riunione della commissione, e col suo comportamento ha tentato di sollecitare una rinuncia alla partecipazione alle due persone che assistiamo. Bisognerebbe capire la modalità di gestione di questi bandi, se il presidente, che ha proposto questo concorso, è in grado d’indirizzarlo. In ogni caso, a nostro avviso, il suo intendimento era di avere solo due persone lì davanti”.
“Mi sento di condividere le conclusioni a cui è pervenuto il pm – spiega dal canto suo l’avvocato Pasquale Longobucco, che assiste Zerbini -. Nessuna condotta, neanche astratta può essere contestata al mio assistito. Non ha fatto nulla che possa in qualche modo far pensare all’ipotesi di aver pilotato il bando all’interno dell’Università. Credo che il mio cliente sia stato vittima di una sorta di tranello o imboscata, dove gli hanno fatto dire determinate cose nell’ambito di una conversazione spontanea e genuina. Zerbini non aveva potere di poter pilotare il bando”.
Il difensore degli altri due indagati ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
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