Cronaca
6 Febbraio 2020
La testimonianza di Alessandro Colombani sulla rapina violentissima subita la notte 26 luglio del 2015

Processo a Igor. La vittima della rapina: “Bastonavano di continuo, ho creduto di morire”

di Daniele Oppo | 3 min

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(foto di Alessandro Castaldi)

“Ho creduto di morire, è la stata la cosa più brutta che mi è successa. Speravo di sopravvivere, che mi lasciassero vivo”. Alessandro Colombani sul banco dei testimoni torna indietro nel tempo, a quella notte del 26 luglio del 2015 quando tre persone lo massacrarono di botte fuori dalla sua abitazione di Villanova di Denore per prendergli poche decine di euro e il bancomat.

Tra loro c’era anche Igor Vaclavic, ovvero Norbert Feher, oggi a processo (difeso dall’avvocato Gianluca Belluomini) per quella rapina e altre due (compiute a Mesola e Coronella). L’udienza di mercoledì è slittata di alcune ore per problemi con il collegamento dalla Spagna, poi è andata spedita.

Secondo lo stesso Colombani, l’unico che probabilmente gli parlò fu proprio Igor. Poche frasi all’orecchio destro, pronunciate “a bassa voce e con calma”, ricorda Colombani,  “parole scandite” di una persone ch “parlava molto bene l’italiano, ma con un accento inconfondibilmente dell’est. Impossibile dimenticarle”.

Eccole allora: “Hai solo questi soldi?”, “hai dei soldi in casa?”, “c’è qualcuno in casa?”, “dacci il codice segreto del bancomat altrimenti ti massacriamo”. E, infine, l’unica frase non rivolta alla vittima: “Passami il cutter”.

Colombani venne comunque massacrato ben prima dai malviventi – Ivan Pajdek e Patrik Ruszo di sicuro, già condannati per questa rapina e le altre due commesse in quell’estate  – che lo aggredirono subito con violenza per poi immobilizzarlo.

L’uomo, rispondendo alle domande del pm Andrea Maggioni, ha ripercorso tutta la rapina, avvenuta verso l’una di notte, mentre era di ritorno da una cena con un amico. Colombani venne aggredito mentre chiudeva il garage, “probabilmente erano già lì da prima e vedendo i fanali dell’auto si sono nascosti”. Mentre chiudeva un’anta del portone, “ho sentito delle mani al collo e non ho fatto in tempo a girarmi che una prima bastonata mi ha colpito alla testa”. “Bastonavano continuamente – ricorda ancora la vittima -, con una violenza che per loro se svenivo o morivo era uguale”.

Fece in tempo a vedere due figure nel buio in quel frangente, una considerata più giovane – probabilmente Ruszo – perché aveva le gambe più snelle. “Continuavano a bastonarmi, mi sono protetto con le mani”, racconta Colombani, che subì un grave frattura della mano destra che ancora oggi porta i segni di quell’aggressione. Probabilmente svenne, poi si svegliò “perché mi hanno tirato su per le spalle, mi hanno bendato con del nastro adesivo, poi tappato la bocca con quattro giri, e poi le mani dietro la schiena”.

In questo modo venne portato verso la parte finale del giardino ed è qui che Colombani avvertì la presenza di un terzo rapinatore: “Due mi hanno accompagnato sottobraccio e uno era davanti a me”. Una volta fatto sedere gli immobilizzarono anche i piedi, per poi frugargli le tasche prelevare soldi e bancomat, farsi dare il codice segreto.

Colombani sentì due persone allontanarsi in auto, probabilmente per testare il funzionamento dei codici – cosa che avvenne anche nel delitto Tartari compiuto dalla stessa banda, senza Igor – e una volta avuta la certezza, anche il terzo, forse proprio Feher, scalvacò la recinzione e poi l’auto partì.

Lui è convinto che il terzo uomo fosse Feher, “aveva un accento dell’ex Jugoslavia” si azzarda a dire e sia pm che difesa gli ricordano che nella denuncia disse dell’est, ma rumeno. Forse anche per questo il pubblico ministero ha chiesto che venga eseguita una ricognizione vocale, in modo che Colombani possa provare di poter riconoscere davvero la voce di Igor.

Se ne riparlerà nella prossima udienza, quella del 13 marzo, quando verranno sentiti altri due testimoni, quegli Ivan Pajdek e Patrik Ruszo che hanno accusato Feher di essere il loro complice.

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