Cronaca
29 Novembre 2018
Per funzionari ed ex dirigenti della banca, l'effetto benefico dell'aumento di capitale del 2011 si ridimensionò l'anno successivo a causa dei paletti più rigidi dell'ente di controllo

Carife, i testimoni delle difese tirano in ballo Bankitalia: “Ci fece raddoppiare gli accantonamenti”

processo carife
di Ruggero Veronese | 3 min

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processo carifeLa crisi finanziaria di Carife? Potrebbe essere stata causata dei paletti troppo rigidi disposti nel 2012 da Bankitalia, dopo l’aumento di capitale.

Questa almeno la tesi che sembrano suggerire, nel corso del processo sul crac della banca ferrarese, i testimoni chiamati in aula dagli avvocati Bolognesi e Sgubbi, difensori rispettivamente di Davide Filippini e Michele Sette (responsabili delle allora direzioni Bilancio e Finanze di Carife) e di Paolo Govoni e Teodorico Nanni (membri del cda Carife e responsabili legali rispettivamente di Carife Sei e Banca di Romagna).

A rispondere alle domande di avvocati e del pubblico ministero Stefano Longhi sono infatti diversi dirigenti o ex dirigenti in forza a Carife durante gli anni in cui si svilupparono le difficoltà economiche, che in linea generale hanno sostanzialmente ribadito di aver sempre lavorato e agito secondo le disposizioni di legge o secondo le indicazioni di dirigenti o enti di controllo.

Primo tra tutti Bankitalia, ente citato in più occasioni durante le testimonianze degli ex funzionari Andrea Braglia ed Enrico Bonora. Quando Longhi chiede a Bonora se dopo l’aumento di capitale del 2011 si verificò qualche avvenimento che compromise i piani della banca, il testimone risponde: “Sì, sono cambiati i criteri di valutazione dei crediti”. Con valutazioni negative soprattutto per quanto riguardava i dieci più importanti creditori di Carife – tra cui società all’epoca molto ambiziose ma non adeguatamente coperte finanziariamente, come il Gruppo Siano -, al punto che Bankitalia impose a Carife di raddoppiare gli accantonamenti, ovvero le risorse messe da parte in via precauzionale, nel caso i crediti non vengano recuperati.

La storia della banca è purtroppo nota e una parte consistente di quei crediti si rivelò effettivamente, come temuto da Bankitalia, irrecuperabile. Secondo Bonora ad ogni modo le disposizioni di Bankitalia furono un duro colpo a sorpresa per i piani di sostenibilità di Carife, che subito dopo l’aumento di capitale si sarebbe trovata a far fronte a consistenti e impreviste riduzioni di disponibilità finanziaria.

Alla questione sugli accantonamenti si collega quella sull’acquisto incrociato di azioni tra Carife e Valsabbina, che secondo la procura di Ferrara sarebbe alla base di un ‘aumento di capitale fittizio’: prima e durante l’aumento di capitale del 2011 le due banche avrebbero infatti sottoscritto reciprocamente circa 10 milioni di euro di azioni, chiudendo con una ‘patta’ e di conseguenza vanificando il senso stesso dell’aumento di capitale, ovvero rafforzare e consolidare la situazione patrimoniale degli istituti.

Un dirigente di Carife Sei ha risposto alle domande di avvocati e procura, definendo come “assolutamente standard” l’operazione di acquisizione delle azioni di Valsabbina, portata a termine attraverso una Sim (società di intermediazione mobiliare). La procura non nasconde però diversi dubbi sulle dinamiche che portarono all’acquisto delle azioni di Banca Valsabbina, al punto che il pm Longhi chiede e ottiene conferma del fatto che questa fu l’unica operazione nella storia di Ferrara Sei in cui la società di servizi del Gruppo Carife acquistò un qualche genere di titolo azionario.

Esauriti i testimoni delle difese, il processo riprenderà il prossimo 10 dicembre, data in cui il tribunale probabilmente inizierà a sentire in aula i primi imputati.

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