Eventi e cultura
17 Novembre 2018
Foto di scena e documenti per ripercorrere l'eccidio del Castello a dieci anni dalla scomparsa di Vancini

“La lunga notte del ’43” in mostra al museo del Risorgimento

di Redazione | 3 min

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È tutto pronto per l’inaugurazione della mostra “Un film, una storia, una città” a 75 anni dall’eccidio e a 10 dalla morte di Florestano Vancini, che si terrà alle 12 di oggi, sabato 17 novembre, presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza, a cura di Antonella Guarnieri e con la collaborazione tecnica e di allestimento di Elena Ferraresi.

La mostra si avvale delle foto di scena relative al film “La lunga notte del’43” del regista Florestano Vancini conservate presso il Museo del Risorgimento e della resistenza, già usate in passate per esposizioni all’interno dell’istituzione civica estense che vengono impreziosite da numerosi interventi sia del regista ferrarese sia di importanti critici.

Emerge così, con evidenza, sia il clima nel quale l’opera venne pensata e quindi data alla luce sia il valore e l’impatto che, nel 1960, ebbe all’interno della cinematografia italiana, un’opera che aveva l’ambizione di raccontare, riuscendoci, con precisione documentaria e storica un episodio drammatico ed assolutamente esemplare della storia ferrarese e italiana.

La mostra fotografica è preceduta dalla ricostruzione storico documentaria degli avvenimenti che si succedettero nella città estense dopo l’uccisione del federale fascista repubblicano di Ferrara Igino Ghisellini, avvenuta la sera del 13 novembre 1943.

La strage, decisa dai fascisti, mandati a Ferrara dal segretario nazionale del partito fascista repubblicano Alessandro Pavolini, venne messa in atto da Enrico Vezzalini e dal console della Milizia Giovan Battista Riggio i quali si avvalsero di non pochi fascisti ferraresi che collaborarono non solo ai rastrellamenti, ma anche alla scelta delle persone da eliminare.

Non si riunì mai un tribunale e le persone che vennero arrestate e fucilate, undici civili, è dimostrato con evidenza, non avevano nessun legame con l’uccisione di Ghisellini. Due di loro, Mario e Vittore Hanau, scelti in quanto appartenenti a quelli che i fascisti definivano con disprezzo “la razza ebraica”, furono i primi ebrei uccisi in Italia da un plotone di esecuzione composto interamente da italiani, fascisti ed appartenenti alle brigate nere della repubblica sociale.

I tedeschi, è documentato dagli atti raccolti all’Archivio di Stato dalla curatrice della mostra, e riproposti in copia all’interno del percorso espositivo, si opposero con durezza al comportamento fascista, alla strage ed ancora di più alla esposizione dei cadaveri che venne interrotta nel pomeriggio del 15 novembre per intercessione, pare, del vescovo di Ferrara monsignor Ruggero Bovelli.

Per decenni, e ben oltre il film di Vancini, si cercò di addebitare questa strage ai tedeschi: erano gli anni in cui si posero le fondamenta della rimozione delle responsabilità fasciste.

Ma Vancini non si arrese e dopo essersi sentito chiedere dai politici, in cambio di ricche sovvenzioni che gli avrebbero consentito la regia di un film hollywoodiano, di raccontare una storia ammaestrata dove fossero i tedeschi a rivestire i panni dei “cattivi”, aspettò il 1960 per raccontare in un film così vero e intenso, ispirato alla sua esperienza diretta e al racconto di Giorgio Bassani “Una notte del ’43”, che vinse il premio opera prima alla mostra del cinema di Venezia, la verità storica sulla lunga notte di Ferrara.

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