Cronaca
30 Ottobre 2018
Possibilità mai realizzatasi raccontata da un ex membro del Cda, sentito come testimone nel processo sull'aumento di capitale

La crisi di Carife e l’aggregazione con Unipol che non avvenne

di Redazione | 5 min

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Unipol era interessata a sostenere Carife dopo l’aumento di capitale del 2011, con la prospettiva di inglobarla nel suo ramo bancario. Ma l’operazione venne abbandonata. È quanto emerso dall’audizione di lunedì 29 ottobre dell’avvocato Antonio Bondesani, ex membro del Cda della cassa dal 2004 fino al 2013, nel processo che ha proprio ad oggetto le modalità con cui l’aumento di capitale venne eseguito.

Fu proprio Bondesani – uomo di Ennio Manuzzi, che nel 2011 era vicepresidente e che lo introdusse nel Cda di Carife –  a organizzare l’incontro Unipol-Carife, approfittando del fatto che un suo socio di studio fosse membro del Cda di Unipol. “Chiuso l’aumento di capitale – ha raccontato il testimone, che è tra gli indagati nel procedimento per la bancarotta – prospettai la cosa a un socio dello studio che era anche nel Cda del gruppo Unipol per cercare di capire se nelle loro corde potesse esserci l’interesse a un’ipotesi di aggregazione. Loro stessi avevano una divisione bancaria che non aveva mai trovato la dimensione che loro cercavano, cercai allora di capire se a suo giudizio poteva aver senso ipotesi di aggregazione tra Unipol e Carife, e la risposta fu positiva”.

“Prospettai l’ipotesi a Manuzzi, che la prospettò a Lenzi (Sergio, ex presidente,oggi imputato) e Forin (Daniele, ex dg, anche lui imputato) e organizzammo un incontro ma non fu tanto soddisfacente – ha raccontato Bondesani -. Ci trovammo Lenzi, Forin, Manuzzi e io, il mio socio, il presidente del gruppo Unipol Pierluigi Stefanini e l’ad Carlo Cimbri. In apertura toccava a noi introdurre il tema, ma in quel momento nessuno prospettava alcunché. Io mi sentii nella necessità di sbloccare la situazione e legittimato ad esporre le ragioni per cui eravamo presenti, dicendo che non avevo nessuna carica e nessuna delega, se non di facilitatore. Prospettai che Unipol intervenisse nel capitale di Carife con modalità tutte da vedere, era incontro assolutamente preliminare”.

Unipol, stando al racconto reso in aula, sembrò ben disposta, ma chiarì che l’operazione “andava però declinata in un senso che, pur mantenendo l’assetto nel tempo, avrebbe dovuto portare alla maggioranza del capitale. Ipotizzava un’operazione non tanto dissimile a quella realizzata peer altre casse di risparmio”. L’incontro preliminare però, a detta di Bondesani, non ebbe “nessun seguito, che io sappia. Chiesi un paio di volte, ma poi credo che la cosa sia stata lasciata cadere, non so perché”.

L’ingresso potenziale di Unipol va letto in un contesto particolare, che è quello delle richieste della Banca d’Italia a Carife proprio per l’aumento di capitale, già emerse durante l’audizione di Carlo Di Salvo, uno dei funzionari di Palazzo Koch che supervisionò la situazione della cassa ferrarese: coinvolgere nell’aumento investitori istituzionali e, soprattutto, investitori industriali in grado di supportare Carife anche in futuro.

La linea della procura sembra portare all’ipotesi che la dirigenza Carife oggi a processo non cercò con la necessaria urgenza questo tipo di investitori, nonostante, come rivelato da Bondesani, in Cda si fossero discusse le diverse strade già prima dell’aumento, e poi anche dopo, quando la Banca d’Italia chiese di fare di più: “Nel 2011 che ci venne rappresentato che l’aumento sarebbe stato preferibile in importo maggiore. Messi assieme tutti questi aspetti, la mia visione sull’opportunità di rivolgersi a un partner industriale si rafforzò e cercai di prospettare alla dirigenza la possibilità di fare questa operazione, ovviamente nelle possibilità di un consigliere”. Da qui poi l’operazione Unipol, mai andata in porto e il dubbio oggi – e per sempre – è se quell’operazione avrebbe potuto salvare Carife dal suo triste destino.

Bondesani ha anche riferito di non aver memoria di aver ricevuto il piano industriale (richiesto da Banca d’Italia, redatto dal Boston Consulting Group) durante le riunioni del Cda, ma ha affermato che venne esaustivamente spiegato tramite delle slides. Per la procura il piano visionato e approvato dal Cda era diverso da quello inviato alla Banca d’Italia.

C’è poi un’altra questione più spinosa che riguarda il prospetto informativo inviato alla Consob. Entrambi i testimoni hanno affermato che quello che poi diventò il prospetto definitivo, ma lo appresero solo quando appresero anche di essere indagati, era diverso in punti sostanziali (e non solo di dettaglio, come si aspettavano) da quello da loro visionato in sede di Consiglio di amministrazione.

La discrasia più macroscopica fu quella dell’obiettivo da raggiungere con l’aumento di capitale: il Cda approvò un prospetto che prevedeva di andare oltre la soglia dell’8% del Tier-1 ratio, come richiesto da Bankitalia. Alla Consob finì invece un prospetto in cui il Tier-1 era fissato al 7.9%. “Nel momento in cui era stata approvata l’operazione di aumento di capitale (dalla Banca d’Italia, ndr), in parallelo ci era arrivata lettera di Bankitalia che evidenziava l’opportunità di valutare altre ipotesi di rafforzamento patrimoniale – ha spiegato Bondesani -. Potevano essere lettere contraddittorie, ma la lettura corretta è che secondo l’autorità era preferibile prima o poi avere la possibilità di intervenire ulteriormente. Ecco che distanza tra 7.9 e 8 acquisisce un significato diverso: siamo sotto il minimo, c’è un’altra richiesta dell’autorità. In quel momento si sarebbe dovuti tornare in consiglio, perché si rendeva necessaria una valutazione discrezionale sul da farsi in quel contesto”.

Dopo è stata la volta di un altro membro del Cda, l’avvocato Marco Berti, che – tranne la vicenda Unipol – ha sostanzialmente confermato quanto affermato da Bondesani. Prima di loro è stato chiamato a deporre Gabriele Galliera, ex direttore commerciale del gruppo Carife, anche lui indagato nel procedimento sul crac, che però si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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