Attualità
8 Ottobre 2018
“Cittadino europeo è una parola senza senso perché non abbiamo gli stessi diritti”

Dallo Stato nazione allo Stato finzione

di Redazione | 4 min

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(foto di Alessandro Castaldi)

di Mattia Vallieri

Non è la cultura che unisce gli abitanti di uno stato ma l’avere gli stessi diritti: solo così possiamo fare un buon uso del termine nazione. E facciamo per una buona volta una Repubblica Europea che noi pensiamo di avere già ora ma non è così”. È questo il pensiero della politologa tedesca Ulrike Guerot espresso durante l’incontro conclusivo ‘Lo stato finzione’ ad Internazionale, in cui si è parlato di sistemi politici obsoleti e alle soluzioni per evitare il risorgere dei nazionalismi.

Un dibattito che ha visto il pensiero della politologa allargarsi intorno al concetto di cittadinanza europea: “Cittadino europeo è una parola senza senso perché non abbiamo gli stessi diritti. Con il trattato di Maastricht siamo diventati una unione di stati ma non di cittadini, perché stessa cittadinanza significa stessi diritti”.

E ancora: “La Brexit colpirà tutti quanti e le elezioni europee e quelle in Sassonia probabilmente avranno un esito disastroso. La globalizzazione ha spinto tutti i conservatori su posizioni di destra in tema di diritti e la sinistra non è più stata in grado di difendere i lavoratori. Da qualunque parte la si voglia guardare questo vuoto è stato riempito dai Salvini e dai Trump”.

Ad aprire l’ultimo pomeriggio del festival di Internazionale è stato il noto scrittore britannico Rana Dasgupta: “Siamo in una crisi grandissima che tocca il sistema politico e capitalista e per questo bisogna pensare a soluzioni alternative che ad oggi non sono evidenti. Questa fase sarà come il processo dell’Illuminismo e dobbiamo riuscire ad immaginare un nuovo sistema culturale globale che richiede a sua volta un altro sistema etico ed economico. La cittadinanza è solo uno dei problemi delle disuguaglianze attuali: vanno ridistribuiti anche i vantaggi del diritto alla cittadinanza”.

Secondo Dasgupta, vanno trovati “sistemi di mobilità che permettono alle persone che vivono in terre devastate da guerre, carestie, povertà e disastri ambientali di uscire e va fatto questo in modo più ordinato rispetto ad ora. Viviamo in un momento in cui c’è una totale disgregazione politica e ciò è dovuto al neoliberismo. Non esiste più la collettività e la solidarietà è stata molto indebolita, per questo motivo vanno recuperate e rivalorizzate istituzioni come l’Unione Europea”.

È partita invece da una analisi della guerra nella ex Jugoslavia la relazione della scrittrice croata Slavenka Drakulic per poi soffermarsi sui nazionalismi: “Il nazionalismo è come un virus che resta latente, poi quando ci sono le condizioni giuste attacca e contagia”.

Ma non solo: “Il nazionalismo ha bisogno di un nemico ed ha la necessità della paura per trasformarla in odio. Ci sono due lezioni terribili da imparare: primo è che la propaganda spinta influenza le persone e secondo che il nazionalismo, facendo leva sulle emozioni, sfugge dal nostro controllo. Le conseguenze della guerra in ex Jugoslavia sono ancora incommensurabili”.

Se i grandi partiti non affrontano i grandi temi, questi saranno affrontati da quelli più piccoli, compresi quelli nazionalisti” prosegue Drakulic, un’idea che trova concorde anche il giornalista e scrittore Martin Pollack che sottolinea come “i nazionalismi di oggi siano diversi da quelli degli anni 20 e 30 in Europa. Oggi i nazionalismi devono seminare la paura e l’odio nelle persone e grazie a queste governano”.

Il finale è tutto dedicato al tema delle migrazioni che si porta con sé la condizione di 65 milioni di profughi, un numero senza precedenti: “E’ il nostro sistema di stati nazioni che costringono le persone a scappare – afferma Dasgupta -. Servono forme di cittadinanza che garantiscano davvero questi processi”.

Un pensiero sostenuto anche da Pollack: “Gli europei dovrebbero ricordarsi di essere stati anche loro in una situazione simile. Ci sono paesi come Polonia ed Ungheria dove non ci sono immigrati, ma ne hanno paura tanto da portare avanti una propaganda fortissima”.

Non possiamo arrestare questo processo – conclude Drakulic – e non dobbiamo adottare una difesa aggressiva contro i migranti perché altrimenti i valori europei, tra cui c’è la solidarietà, andrebbero a decadere”.

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