“È una decisione che ci lascia fiduciosi e siamo convinti che nel processo avremo modo di dimostrare l’innocenza degli agenti”: si mostra ottimista l’avvocato Denis Lovison dopo la decisione della procura di Ferrara di derubricare le accuse nei confronti di otto agenti di Polizia Penitenziaria e del medico della casa circondariale di via Arginone, accusati di aver prodotto certificati medici falsi per non presentarsi al lavoro.
Dalle iniziali ipotesi di accusa per truffa ai danni dello Stato, falso ideologico e violazione del ‘Decreto Brunetta’ (contro l’assenteismo nei lavori pubblici) si è passati infatti a falso ideologico e uso di atto falso. Del primo reato si sarebbe macchiato il medico che ha prodotto i certificati, mentre agli agenti ne viene contestato il successivo utilizzo. Cade così l’accusa più grave, di truffa ai danni dello Stato, mentre con l’archiviazione diretta di uno degli agenti il numero degli indagati scende da dieci a nove.
Secondo le indagini coordinate dal pm Giuseppe Tittaferrante, gli otto agenti al centro dell’inchiesta avrebbero prodotto certificati medici che riportavano tutti, senza distinzione, gli stessi problemi: blocco lombare, gastroenterite e crisi cefalgica. Ma ad alimentare i sospetti è stato anche il tempismo in cui si registrarono le assenze: tra marzo e aprile 2016, proprio mentre all’interno del carcere si respirava un clima di tensione tra gli agenti della polizia penitenziaria e la loro comandante Lisa Brianese, contestata pubblicamente anche dai sindacati Sappe e Osapp per “non avere il polso necessario per far valere l’autorità che rappresenta nei casi di tensione tra agenti e carcerati”.
L’allora direttrice del carcere Carmela Di Lorenzo inviò proprio in quel periodo un documento alla magistratura in cui illustrava le difficoltà organizzative in via Arginone e la necessità di chiamare delle ‘supplenze’ da Bologna, a causa delle numerose assenze che si stavano registrando.
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