Attualità
5 Febbraio 2018
Un progetto di citizen science avviato dal Museo di Storia Naturale cerca di monitorare il fenomeno per trovare soluzioni

Le strade del Delta cimitero degli animali

di Daniele Oppo | 4 min

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Foto di Stefano Aldrovandi dalla pagina del progetto DRK, iNaturalist (licenza CC BY NC 4.0)

L’area del Delta Po vive di alcuni paradossi. Uno è quello di avere un parco naturalistico bellissimo ma diviso tra due regioni, l’Emilia Romagna e il Veneto, e che da lunghissimo tempo agogna una gestione unitaria ed efficace. L’altro è quello è di essere una riserva ambientale ricchissima ma che, allo stesso tempo, soffre di una pesante antropizzazione. Forse è per questo che le terre che ospitano una vita così varia siano anche i luoghi dove gli animali trovano la morte, non quella ‘naturale’, ma quella che direttamente discende dalla nostra presenza, nei luoghi simbolo dell’arrivo dell’uomo: le strade.

E proprio le strade del Delta, solo in poco più di un anno, da dicembre 2016, sono diventate la tomba per almeno 500 animali (anche se le segnalazioni fin qui validate si fermano a 302), come rivelano i dati del progetto Drk-Delta Road Kill. Un progetto di citezen science avviato dal Museo civico di Storia Naturale di Ferrara, dove i volontari segnalano gli animali che vengono ritrovati lungo le strade del Delta, uccisi dalle automobili di passaggio.

La cinquecentesima osservazione è avvenuta lunedì (29 gennaio) a Mirabello, in via Argine Postale. Un riccio comune europeo, la specie più flagellata nelle strade del Delta (finora ben 87 osservazioni), seguita dalla nutria (60 osservazioni), dal rospo smeraldino italiano (47 osservazioni), dal piccione domestico (24 osservazioni) e dalla tortora (18 osservazioni). Insieme contano per più del 50% delle osservazioni totali che hanno riguardato 65 specie differenti (delle quali 61 vertebrati). Tra queste, spiega Carla Corazza, responsabile del progetto per il Museo di Storia Naturale, ce ne sono anche altre: “La gallinella d’acqua, il ratto norvegese, il fagiano, il merlo, il biacco, il tasso. Ma anche specie protette come la testuggine palustre europea, il gheppio, il picchio verde o l’istrice. Abbiamo trovato anche un tarabusino”. Ma l’elenco non è ancora completo.

Se a un primo colpo d’occhio sembrano numeri rilevanti, mancano però raffronti per capire davvero la dimensione del fenomeno, anche se si tratta solo di una parte di una strage silenziosa, i cui dati sono da considerare insieme al monitoraggio periodico compiuto dal Museo in un territorio che conta 10mila chilometri di strade, 2 per ogni chilometro quadrato di superficie, ma anche più di 40 siti Natura 2000.

Lo scopo non è solo quello di fare la conta degli animali che trovano la morte, ma anche di monitorare le aree di passaggio, capire e conoscere qualcosa di più sugli abitanti del Delta, –  anche in parallelo con i dati tratti da un altro progetto che si occupa di monitorare la biodiversità generale (flora e fauna) dell’area -: “Stiamo trovando molti rapaci – racconta Corazza – ma ci sono ancora pochi dati sulla consistenza delle popolazioni per poter capire che impatto possano avere le perdite”.

Come detto, i numeri non sono ancora grandi abbastanza per poter trarre alcun tipo di conclusione, per questo il progetto andrà avanti e si unirà ad altri già in corso: “Vogliamo coinvolgere sempre più persone per avere più informazioni ed entrare così nel campo dei big data – spiega ancora la responsabile del progetto -, così da poter individuare tendenze significative dal punto di vista statistico. Poi c’è anche lo scopo di una maggiore sensibilizzazione per gli automobilisti”.

Già, perché il passaggio degli animali per le strade più o meno trafficate non è un problema solo per loro, lo è anche per chi è alla guida: “In questo territorio non passano di solito grandi animali, come un cervo ad esempio, ma un capriolo può capitare”. E allora l’osservazione sarà utile per trovare le soluzioni migliori per tutti: “Qualche anno fa – spiega Corazza – c’è stato il progetto denominato ‘Life Strade’ nelle regioni Umbria, Toscana e Marche da cui sono nate delle proposte per ridurre il rischio d’impatto”· Anche quelle che possono sembrare banali ma che così banali non sono visto che mancano o non vengono curate: “In un tratto del raccordo autostradale che stiamo osservando, ad esempio, sono cadute le recinzioni e lì gli animali passano. In altri casi si può proporre l’installazione di barriere per costringere gli uccelli a volare più in alto”.

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