Il gip Silvia Marini ha sciolto la riserva e ha decretato l’archiviazione per le posizioni degli otto medici indagati per omicidio colposo per la morte di Lorella Rolfini.
Lorella Rolfini si spense su un letto del nosocomio cittadino il 26 maggio del 2016. Aveva 56 anni ed era entrata in sala operatoria per un intervento chirurgico delicato. Soffriva da tempo di cefalee e senso di vertigine. Dovuto, secondo la diagnosi, al meningioma di grosse proporzioni che le comprimeva le pareti del cervello.
Morì in ospedale dopo sette mesi di ricovero da quell’operazione, passando da un reparto all’altro dell’ospedale di Cona. La causa fu uno schock settico, maturato dopo l’intervento di asportazione di un meningioma, un tumore benigno all’altezza del cervelletto.
Per quei fatti vennero indagati per omicidio colposo otto professionisti, tra medici, chirurghi e specializzandi. Secondo gli specialisti era necessario un intervento, data la grandezza del tumore. Ma l’operazione, per quanto indispensabile, era prevista come lunga e rischiosa. E infatti la paziente rimase sotto i ferri per tredici ore. E ne uscì con una emorraggia che rese la sue condizioni critiche.
Il travaglio post operatorio si è dipanato prima in rianimazione, poi in medicina interna, quindi nell’unità di riabilitazione del San Giorgio. Ma la condizioni della donna non sono mai migliorate e, quasi un anno fa, ai familiari è stata data la ferale notizia.
I parenti hanno voluto capire il perché la loro cara è entrata in ospedale uscendone da morta e hanno depositata una querela contro gli otto medici che, in una fase dopo l’altra del percorso di ricovero, l’hanno avuta in cura.
La consulenza medico legale della dottoressa Fedeli e del neurochirurgo Andreoli, richiesta dal pm Patrizia Castaldini, ha confermato la necessità dell’intervento, sostenendo come l’emorragia sia un fatto previsto e probabile in letteratura medica. Emorragia, nel caso specifico, intervenuta pur in assenza di errori, essendo “un evento tutt’altro che raro – recita la consulenza -, da attribuire con alta probabilità alla decompressione delle strutture vascolari circostanti e in particolari alla decompressione delle vene”.
In seguito a quelle valutazioni il pm aveva chiesto l’archiviazione, alla quale si erano opposti i familiari, assistiti dall’avvocato Roberta Testa.
Ora il gip Silvia Marini ha chiuso la questione archiviando tutte le posizioni, prendendo atto che l’intervento era molto delicato e difficile e che fu giusta la scelta della rimozione totale del tumore, dal momento che il meningioma si sarebbe potuto riformare. Allo stesso modo ha giudicato corretta dal punto di vista farmacologico la gestione post operatoria della paziente.
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