Freud and the City
29 Aprile 2016

Sembrava solo un gioco

di Giorgia Belletato | 3 min

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“Caro basket, 

dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzini di mio padre…ho saputo che una cosa era reale: mi ero innamorato di te. Un amore così profondo che ti ho dato tutto, dalla mia mente al mio corpo dal mio spirito alla mia anima…Hai chiesto il mio impegno ti ho dato il mio cuore…Ho giocato nonostante il sudore e il dolore…perché è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu mi hai fatto sentire. Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ma non posso amarti più con la stessa ossessione. Questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia, la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio. E va bene. Sono pronto a lasciarti andare. E voglio che tu lo sappia, così entrambi possiamo assaporare ogni momento che ci rimane insieme…indipendentemente da cosa farò rimarrò per sempre quel bambino con i calzini arrotolati…5 secondi da giocare. Palla tra le mie mani. 5… 4… 3… 2… 1…”.

 

E’ questa la lettera di addio di Kobe Bryant, fuoriclasse dell’NBA, al mondo del basket, che fa profondamente riflettere sulla capacità, che pochi hanno, di scegliere di allontanarsi dalle luci della ribalta. Non è infatti cosa per tutti decidere di non stare più sotto i riflettori. Ci vuole stile, raffinatezza ma soprattutto libertà: eh già perché rinunciare significa soprattutto poter scegliere. Ce ne fossero allora altri come lui! Magari fosse possibile riuscire a far capire alla gente che più non la smetti e più rischi di diventare la caricatura di te stesso. Ciascuno infatti dovrebbe sapere dove può e dove deve arrivare nella vita. Per cui niente smancerie né alzate di spalle. Piuttosto sfatiamo il mito del “chi abbandona la lotta è un vile” e onore invece a chi non confonde la rinuncia con il fallimento.

Che bello sarebbe quindi se dopo qualche stagione giocata bene ce ne andassimo tutti fuori dal palazzetto ad occuparci d’altro, fosse anche “solo”, per chi se lo può permettere, godersi la pensione! Ritirarsi allora significherebbe avere la consapevolezza di ciò che si è riusciti a fare ed allo stesso tempo sentirsi abbastanza forti da lasciarsi andare. Per far questo bisogna conoscere però la giusta distanza tra il cuore e la testa, significa avere la capacità di far crescere i propri sogni ma sapere anche che non si può evitare la fine di un amore e di una passione. Perché arriva sempre il momento giusto per mettersi da parte, non importa chi sei: genitore, partner, atleta, imprenditore, uomo, donna o gay…Arriva sempre il momento giusto per fare un passo indietro che dà spazio ad altro, ad altri…

Eh già! Questo vuol dire accettare di fare un lungo respiro e separarsi da ciò che abbiamo amato tanto, significa saper sopportare il dolore, perché si sa, le ferite hanno i loro tempi per cicatrizzare. L’alternativa, perché c’è quasi sempre un’alternativa, è ammettere che invece eroi non si è stati mai, perché la guerra con sé stessi si vince solo se prima o poi finisce. E se non si è stati eroi allora cosa si è stati? Probabilmente solo degli eterni illusi e delusi, ancorati narcisisticamente al proprio testimone…

Per cui grazie, Black Mamba!

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