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di Francesco Altavilla
Sapete quanto ci mette l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti sulla Stazione Spaziale Internazionale, a compiere un giro (quasi) completo intorno alla Terra? Esattamente il tempo di una partita di calcio, 90 minuti. Un lasso di tempo durante il quale gli astronauti viaggiano a circa 28 mila km/h coprendo circa l’85% della superficie terrestre entrando in “contatto visivo” con il 95% della popolazione mondiale.
Che cosa sia la Stazione Spaziale Internazionale e che cosa ci faccia a 400 chilometri dalla superficie della Terra sono stati gli argomenti della conferenza di ieri sera, venerdì 6 marzo, alla sala Estense per il ciclo “I venerdì dell’Universo. Incontri e seminari su astronomia, fisica e scienze”.
All’incontro erano ospiti Salvatore Pignataro, ingegnere areonautico e direttore della missione di lunga durata dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), la missione “Futura”, e il professor Paolo Zamboni, direttore del centro malattie vascolari dell’Università di Ferrara. Proprio Paolo Zamboni è stato tra i promotori e dei coordinatori di uno degli esperimenti che hanno visto protagonista Samantha Cristoforetti lassù dove il cielo è “nero come non lo si vede da nessuna parte sulla Terra”, durante la missione “Futura”.
C’è quindi un po’ di Ferrara nell’unico avamposto permanente, la cui costruzione ha riferito Salvatore Pignataro, si è conclusa definitivamente nel 2011, ha coinvolto ben 15 nazioni ed ha raggruppato in sé tre vecchi progetti di stazioni spaziali precedenti. I primi astronauti a mettere piede nella Stazione Spaziale Internazionale dove ora sta vivendo Samantha Cristoforetti, furono tre, un americano, e due russi. Si agganciarono alla stazione il 2 novembre 2000 e fecero ritorno sulla Terra il 18 marzo dello stesso anno. Quindici anni dopo, 1765 esperimenti e una quarantina di missioni più tardi, l’astronauta italiana nonché capitano dell’Areonautica Militare Italiana, Samantha Cristoforetti è la quarta italiana a mettere piede nella Stazione.
Tra le mansioni di “AstroSamantha” c’è stata anche quella di portare a termine l’esperimento “Drain Brain”, sviluppato dal prof. Paolo Zamboni. La ricerca ha tentato di dare qualche risposta in più a quello che Zamboni ha definito “male dello spazio”, riferendosi a quelle modificazioni che sono state registrate sul ritorno venoso cerebrale negli abitanti della stazione orbitale. Lo scopo dell’esperimento, effettuato tramite un pletismografogo ed un ecogrago avrà l’obbiettivo di verificare quali cambiamenti avvengono nel flusso venoso in maniera semplice e per nulla invasiva.
“La soddisfazione per la ricerca che ha riunito i dipartimenti di Fisica e il centro malattie cardiovascolari dell’Università di Ferrara, deriva anche dalla consapevolezza di essere stati in grado di ottenere a distanza dati clinici raffinati da un paziente senza la presenza fisica di un medico – ha precisato il professor Zamboni – ciò non può che far presagire un grande futuro per la telemedicina, disciplina in espansione che può rispondere a molti problemi di sostenibilità”.
L’incontro si è concluso con uno scambio di tweet tra Samantha e la sala Estense, per l’occasione davvero gremita oltre ogni più rosea aspettativa.
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