“Tra le tante cose che ho fatto avrò fatto anche diecimila errori”. Una delle primissime, se non la prima, ammissioni di colpa di Roberto Soffritti, ex sindaco di Ferrara, alias ‘Duca Rosso’ per i suoi detrattori, la fa davanti al gran giurì della stampa ferrarese per il primo incontro del neonato think tank Pluralismo e Dissenso, associazione culturale che si prefigge di agevolare i decisori fornendo analisi che scavino a fondo tra le varie complessità del mondo.
L’ex sindaco comunista ha risposto colpo su colpo al fuoco di fila dei giornalisti ieri pomeriggio alla sala Arengo. Cei, palazzo degli specchi, ospedale di Cona, la Spal di Donigaglia, il clima di quegli anni da primo cittadino – dal 1983 al 1999 –; nulla viene lasciato al caso e per Soffritti diventa un mezzo assedio. Destinato però a fallire di fronte allo stoicismo del comunista “che avevano definito quasi socialdemocratico per la mia apertura”, come spiega lui.
Il primo aneddoto che racconta riguarda i rapporti “caratterizzati da una distanza enorme” tra esponenti di diversi partiti nei primi anni ’80: “Ero appena stato eletto sindaco quando mi venne a trovare Saini per chiedermi l’utilizzo della teatro Comunale per la cerimonia del premio Estense. Per me non ci fu nessun problema, era la manifestazione culturale più importante della città, ho verificato che fosse di proprietà del Comune e gli ho detto subito di sì. Quando gliel’ho fatto sapere era perplesso. Questo fa capire la volontà di mantenere la separazione, e le questioni vanno lette in questo modo. Rompere questo schema e aprirsi a un sistema benefico per la città era una mia priorità”.
Per quanto riguarda il palazzo degli specchi Soffritti prima attacca, poi fa il quadro della situazione: “Si parla molto di cose che non si sanno o che si fingono di ignorare – spiega -. La Cei stava fallendo, si è andati in tribunale ed è stato fatto un concordato preventivo mentre è stato deciso che l’opera dovesse andare avanti, poi l’immobile è rimasto bloccato perché l’immobile aveva come destinazione d’uso uffici per enti pubblici. Poi ne è stata ricavata un’area residenziale, ma era stato scelto un un commissario, Borgatti, e lì sono state questioni romane. Non mi sto pentendo di niente perché non ci ho fatto niente con quel palazzo”. La stessa cosa vale anche per quanto riguarda l’ospedale di Cona, sul quale l’ex primo cittadino bolla come leggende le voci su suoi eventuali guadagni derivanti dalla vendita dei terreni, o di una scelta dello stesso durante un volo in elicottero. “Sono state dette molte cose in merito”, dice. Poi va avanti, spiegando che la sua posizione è stata decisa anche perché Cona si trova sulla direttrice da Copparo a Portomaggiore.
Sul capitolo Spal Soffritti ammette di aver chiesto – “ma non ordinato, vuol dire non conoscere la persona perché non ha mai preso ordini da nessuno” – a Donigaglia di acquisirla. “Come primo cittadino conoscevo coloro che in città avevano grosse somme a disposizione, quindi glielo chiesi. Anche in tribunale mi fecero la stessa domanda e lì me la cavai dicendo che anche il sindaco di Torino avrebbe chiesto agli Agnelli di acquisire la Juventus. All’epoca la situazione finanziaria era buona, floridissima. E poi chiesi a tutti”.
Soffritti poi ricorda due progetti di cui va fiero, ovvero il restauro delle mura, “per il quale va un ringraziamento infinito a Paolo Ravenna e che realizzai grazie a Cristofori e Franceschini (il “consociativismo”, antenato delle grandi intese) e l’aumento della capacità di raccolta idrica di Ferrara da 500 a 1500 metri cubi d’acqua al secondo “cosicché durante i mesi estivi anche i lidi avessero l’acqua anche in assenza di autoclave”. “Queste cose andavano fatte perché oggettivamente eravamo più arretrati rispetto al resto del territorio. Poi sicuramente facendo tutto questo avrò commesso diecimila errori”.
Altro vanto: “Con me è nata la Ferrara d’Arte e la Ferrara di Abbado”. Ma gli viene ricordata la stagione del ’94, con il documento di tredici dirigenti del Pci-Pds (tra cui Fiorenzo Baratelli, Paolo Mandini, Angela Alvisi, Magda Beltrami, Luciano Bertasi, Bruno Armanino, Giuliano Guietti, Daniele Vecchiattini), che chiedevano un rinnovamento della classe dirigente e bollarono come “operazioni confuse ed ambigue, tese alla ridistribuzione del potere tra soggetti anche diversi ma la cui finalizzazione unica sembrava quella di riproporre vecchi schemi e vecchie politiche”. Mandini tra l’altro accusò il sindaco di “non fare cultura, ma comprare cultura”.
In ultimo Soffritti si smarca quasi postumo dal Pci che fu: “Io rispetto al Pci ero diverso, perché il Pci ferrarese era diverso da quello emiliano. Il segno che mi portavo sulla schiena era quello di un comunista più aperto, quasi socialdemocratico. A parlare adesso ho un grande vantaggio, perché essendo il sindaco decaduto più tempo fa la gente tende ad avere un ricordo meno completo. Il problema di fondo nella politica di oggi è il trasformare le parole in azioni concrete perché ora è arrivato il momento delle restrizioni”.
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