Quando il giovane assessore provinciale all’agricoltura Stefano Calderoni aveva annunciato il proprio ritiro dalla politica, con il proposito di aprire e lavorare in un’azienda agricola, parecchia gente – sia all’interno che all’esterno delle istituzioni – aveva bollato la sua dichiarazione come la solita mossa ‘autopromozionale’ da parte del politico di turno. Tra chi lo accusava di volersi ingraziare l’elettorato delle campagne ferraresi a chi sosteneva che l’assessore fosse impegnato in un gioco al rialzo per ottenere incarichi più prestigiosi. Ma oggi, a qualche mese di distanza, possiamo – finalmente – affermare che non sempre dietro le dichiarazioni dei politici si nasconde un secondo fine. O almeno non in quelle di Calderoni, che nel momento in cui leggerete l’articolo potrebbe essere alla guida del trattore nelle campagne di Mesola, in un terreno preso in affitto assieme al socio con cui ha fondato la nuova attività.
La notizia era nell’aria da tempo ma la conferma – come è ormai prassi – arriva direttamente dai social network: “In questi mesi – scrive Calderoni – qualche maldicente ha affermato che il mio annuncio di ritirarmi dalla politica fosse strumentale per ottenere visibilità o che lavorassi alacremente come amministratore perché dovevo ricollocarmi.. bene la più grande soddisfazione è aver messo tutti a tacere”. Al fianco del messaggio, una foto della campagna vista dall’abitacolo di un trattore. “Quel post era anche uno sfogo – ci racconta l’assessore – per dimostrare a tutti gli scettici che a volte c’è anche chi mantiene la parola. Sono successi alcuni episodi spiacevoli in questi mesi: quando intervenni sulla vicenda di Erik Zattoni, chiedendo alla curia di ritirare le onorificenze al parroco, mi accusarono di strumentalizzare la storia per diventare sindaco di Fiscaglia. Dopo l’annuncio della scelta di non voler proseguire la carriera politica molti pensavano che fossi alla ricerca di un posto in una nuova giunta. E quando espressi un apprezzamento verso Tagliani mi accusarono di voler entrare nella sua nuova squadra”.
Una serie di attacchi che hanno convinto sempre più Calderoni della sua scelta, anche se la sua delusione dal modo di fare politica che si sta diffondendo stava già montando da tempo. “Tra i motivi del mio ritiro c’è anche il modo in cui si sta trasformando lo scenario politico nazionale. Andiamo sempre più verso una politica identitaria, mentre io sono sempre per una politica più collettiva. E devo dire che di fronte a questo plebiscitarismo della nuova politica mi sento un po’ fuori dal tempo”. Una dichiarazione che, detta dal più giovane componente della giunta provinciale, spinge a qualche riflessione ulteriore: “Oggi la politica è sempre più una delega in bianco al leader di turno – afferma Calderoni -. E non mi riferisco solo a Renzi o ai leader degli altri due principali schieramenti: è un dato generalizzato. Credo che in Italia questa ‘democrazia identitaria’ abbia accezioni più marcate, ma è evidente che anche nel resto dell’Europa il tema della democrazia è incompiuto. Si parla molto di governabilità ma sempre meno di rappresentatività e si stanno introducendo concetti che rischiano di limitare la partecipazione dei cittadini. I segnali più incoraggianti vengono dai popoli che hanno vissuto le crisi peggiori e si sono rimboccati le maniche, anche se non sempre con risultati positivi, basti pensare alla Primavera Araba. Ma in vari paesi ci sono forme di partecipazione interessanti, è in occidente che bisognerebbe ‘oliare’ un po’ i processi democratici”.
Strana storia, quella di Calderoni. Che dopo un incarico politico, invece di essere inglobato dal “palazzo”, finisce in mezzo ai campi a respirare l’aria di campagna. Lui si mette a ridere e conferma: “È vero, ma devo dire che senza questa esperienza probabilmente non avrei mai fatto una scelta simile. Sono laureato in sociologia e sto per prendere una specialistica in gestione delle risorse umane. Avevo altri progetti, forse avrei lavorato in un ufficio. Ma ho avuto modo di scoprire un mondo che conoscevo solo in parte”. E la sua esperienza personale diventa anche un modo per lanciare un appello per i tanti giovani che non si sono mai affacciati al mondo dell’agricoltura. “È chiaro che è un lavoro faticoso, in cui non ci sono sabati o domeniche. Ma rispetto ad altre attività sei meno alienato: vedi il frutto del lavoro e sei sempre in contatto con la natura, un aspetto che dà grande qualità alla vita. E poi oggi fare agricoltura non significa più solo seminare e raccogliere: c’è tutto un aspetto imprenditoriale in cui è importantissimo l’apporto dei giovani. Anche un laureato può salire su un trattore e sporcarsi le mani, e visto che nella prossima Pec molte risorse saranno destinate ai giovani che creano imprese, speriamo che qualcuno decida di contribuire alla crescita di questo settore, in cui il 70% dei titolari è sopra i 65 anni è c’è un grosso problema di ricambio generazionale. Ma non voglio dire ai ragazzi di andare nelle campagne a 14 anni: oggi bisogna studiare, farsi una cultura, se è possibile viaggiare. E poi tornare nelle aziende con nuove idee. Perchè in tutto il mondo il tema del cibo, insieme a quelli della disponibilità di acqua e dello smaltimento dei rifiuti, sarà una delle maggiori problematiche nel prossimo futuro”.
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