È stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena, il parroco del Ferrarese da tempo accusato di atti di pedofilia verso un minore, figlio di una coppia di origine serba alla quale aveva dato ospitalità nella propria abitazione. La sentenza è stata pronunciata ieri mattina dal giudice Silvia Marini, dopo che poche settimane fa il pm Alberto Savino aveva richiesto una condanna pari a un anno e due mesi.
Il tribunale ha avvalorato così le tesi della procura e dell’avvocato Giovanni Montalto, costituitosi parte civile per i genitori del minore, secondo i quali il parroco si sarebbe reso protagonista di atti di libidine nei confronti del figlio della coppia, durante una festa di compleanno che questi avevano organizzato nell’abitazione. La complicazione maggiore per il tribunale è stata il dover ricostruire e isolare i vari elementi di tensione tra il prete e i genitori del bambino. Da tempo infatti i loro rapporti si erano incrinati e il ‘don’ desiderava che i suoi ospiti trovassero una nuova sistemazione. Il 35enne capofamiglia non la vedeva allo stesso modo e ne nacque una causa civile che darà ragione al sacerdote. Ma la famiglia – marito, moglie e due figli piccoli – non trasloca nemmeno dopo la sentenza di occupazione abusiva dell’appartamento.
È per questo che, quando la coppia sporgerà denuncia per gli atti di pedofilia, il prete passerà subito al contrattacco, sostenendo che il suo – ormai dichiaratamente sgradito – ospite lo avrebbe ricattato affermando: “Se mi sfratti ti denuncio per pedofilia”. Da qui la denuncia per estorsione depositata in procura dal parroco, che ha dato origine a un processo a parti invertite tuttora in corso.
Ciò che il tribunale sembra aver appurato è però l’oggetto del primo processo, riguardante l’episodio di pedofilia. A supportare la tesi della accusa non erano solo le testimonianze di alcuni ospiti della festa di compleanno, ma anche una fotografia che ritraeva il prete tra gli invitati e il tabulato delle celle telefoniche agganciate quel giorno dal telefono del ‘don’: tutti elementi che smentiscono del tutto o in parte la tesi difensiva, secondo cui l’imputato non poteva essere presente per commettere il reato poichè impegnato in funzioni religiose in altri paesi della provincia. Preso atto che non ci sarebbero state controrepliche dalle parti, il giudice Silvia Marini ha pronunciato la sentenza di condanna a un anno e quattro mesi di reclusione per il parroco (con sospensione condizionale della pena), con risarcimento dei danni da stabilire in sede civile e una provvisionale immediatamente esecutiva di 20mila euro. Tra le pena accessorie risulta anche l’interdizione dai pubblici uffici.
Un successo che non può che far sorridere la parte civile e l’avvocato Giovanni Montalto, che si definisce “molto soddisfatto per il risultato ottenuto, soprattutto considerando il contesto molto difficile in cui ci trovavamo, anche per la posizione nel clero di questo prete, che da quanto mi risulta abbia mai avuto sospensioni o provvedimenti da parte della curia, anche a processo ormai avviato”. Ma si aspetta – chiediamo all’avvocato – che dopo questa sentenza la chiesa agisca nei confronti del parroco? “Se non un provvedimento concreto – conclude Montalto -, spero che ci sia almeno un pronunciamento. Soprattutto pensando alla tutela dei giovani nel futuro”.
Di tutt’altro avviso l’avvocato Maruzzi, difensore del prete, che continua a sostenere l’innocenza del proprio assistito. “Sono sconcertato – afferma il legale in una nota stampa inviata ai quotidiani -. Non riesco davvero a prefigurarmi la logica che abbia potuto seguire il giudice nel ritenere il mio assistito responsabile del reato, quando per lo stesso fatto altro giudice, poche settimane fa, ha ritenuto plausibile l’accusa di calunnia (ti accuso sapendo che sei innocente) per lo stesso fatto contro il padre del minore. È comprensibile che il sacerdote viva questa decisione come una profonda ingiustizia e una persecuzione. È legittimo domandarsi se sia normale essere condannati sulla base di una denuncia dove l’accusa viene “descritta” con dei puntini di sospensione e riempita in corso d’opera a distanza di mesi. Faremo sicuramente appello e continueremo fino in fondo la nostra battaglia per l’affermazione della verità”.
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