
Un’opera di Castellani
Sono finiti loro alla sbarra, anche se quei quadri sostenevano di averli comprati in buona fede, credendo fossero autentici. Ma non sono riusciti a dimostrare al giudice che non cercarono di ‘rifilare’ quelle opere a ignari collezionisti.
Imputati serano due galleristi, uno di Ferrara e l’altro di Pescara, per cinque quadri di Enrico Castellani, uno dei maggiori pittori europei contemporanei. Loro li acquistarono in momenti diversi una decina di anni fa per poco più di 100mila euro. Oggi quelle tele valgono almeno 200mila l’uno (a Sotheby’s di recente un quadro di Castellani è stato battuto a 800 euro).
Nel novembre del 2007 li vendono a dei collezionisti, consigliando loro come precauzione – una prassi nel mercato dell’arte – di farne controllare l’autenticità alla fondazione Catellani. Questo prima della consegna del denaro. E invece la fondazione ne contesta la paternità e trattiene presso di sé le opere, facendo intervenire i carabinieri del nucleo per la tutela dei beni culturali.
Partono le verifiche, le perquisizioni e le denunce d’ufficio, che portano i due galleristi a doversi difendere dalle accuse di falsificazione di opere d’arte e ricettazione.
I due imputati, difesi dagli avvocati Massimiliano Bravin e Giuseppe Liguori, hanno fatto presente che al momento della consegna dei quadri si sono premuniti di consigliare all’acquirente di far vidimare l’opera e che in passato avevano comprato quelle tele credendo fossero vere, e quindi secondo loro in perfetta buona fede.
Una spiegazione che non ha convinto il tribunale per quanto riguarda la posizione di uno dei due galleristi, Luca Di Marco, venditore di due dei quadri contestati, che è stato condannato a tre anni per ricettazione. Il collega ferrarese è stato invece assolto.
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