Cronaca
4 Aprile 2014
Patrizia Moretti: “Spero che la sua storia contribuisca a un futuro migliore”

La doppia morte di Federico

di Marco Zavagli | 4 min

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unnamedFederico Aldrovandi, quando un dolore privato diventa una tragedia collettiva. Patrizia Moretti ha affidato a un libro la storia di suo figlio. Una storia che non riguarda solo quel che accadde dal 25 settembre 2005 in poi, ma anche la vita del figlio, racchiusa in quei pochi diciotto anni che gli sono stati concessi di vivere.

È da questo passaggio di testimone su carta che nasce il libro “Una sola stella nel firmamento”, scritto a quattro mani con la psicanalista Francesca Avon, dell’associazione A buon diritto (fondata dal senatore Pd Luigi Manconi) e presentato ieri in anteprima nazionale alla libreria Ibs di Ferrara.

A introdurre gli autori è Federica Coin, secondo la quale in questa vicenda quel che colpisce è come vengano “invertite le categorie della buona e della cattiva condotta”. E a testimoniarlo è una frase del libro: Avevamo fiducia nella polizia perché a questo serve la polizia, a mettere ordine, a distinguere i cattivi dai buoni”. La Coin sfoglia le prima pagine del volume e fa presente come i giorni successivi alla morte del figlio “Patrizia viveva con addosso un senso di riprovazione collettiva. Pensava che ‘se mio figlio è morto in quel modo vuol dire che sono stata una cattiva madre’. La vittima e i carnefici si cambiano di ruolo”.

Contraddizioni che “rimangono aperte anche oggi – aggiunge Manconi -, alcune domande hanno ottenuto solo parzialmente risposta, ma sulla morte di Federico Aldrovandi c’è una verità giudiziaria che è un terribile atto di accusa sia verso i responsabili materiali dell’omicidio sia verso una struttura che ha consentito che quell’omicidio avvenisse e che ha portato ad alterazioni e falsificazioni dei fatti. Questa operazione atroce emerge dal libro: qui sta la doppia morte di Federico Aldrovandi”.

Una doppia morte che accomuna i tanti Federico che le cronache nazionali hanno fatto conoscere. “Alla vittima rimasta sul terreno – prosegue il senatore -, a quella morta in cella o dentro un Cie si applica un processo di stigmatizzazione, di deformazione della sua identità. Così e successo con Aldrovandi, come con Cucchi, Uva e tanti altri. La morte fisica viene seguita da un processo di degradazione dell’identità della vittima, un linciaggio della sua biografia. Questo libro ci restituisce questa parte di vita, una vita interrotta ma che è iniziata e ha compiuto un percorso. Viene riconquistata a quelle identità spente in poche righe di cronaca nera di giornale una vita, una storia vera”. Questo processo è la conseguenza della trasformazione del “più intimo dei dolori, la morte di un figlio, in una risorsa per un percorso verso la conoscenza che coinvolge la collettività”.

1925123_10203644624743106_426764125_nEd è stato proprio dolore che da privato diventa pubblico a spingere Francesca Avon a voler conoscere Patrizia Moretti e a farsi raccontare la sua storia di madre. “La prima cosa che Patrizia mi disse circa un anno fa quando ci siamo conosciute è stato ‘io sono il rappresentante perfetto dell’italiana media, nata in una tranquilla città di provincia’. È la fusione dell’ordinario con lo straordinario. Lo straordinario è quanto successo quel 25 settembre e quanto avvenuto dopo. l’ordinario è una madre che ama il mare e la musica, ha due figli adolescenti e li vuole veder crescere. Patrizia Moretti non è un’eroina, è una donna con una grande forza che ha permesso di trasformare questo dolore in qualcosa che ci riguarda tutti”.

“Questo libro io l’ho raccontato, lei lo ha scritto” interviene la Moretti. “Sono le persone i doni che ho ricevuto da Federico. Persone come Francesca, conosciuta dopo la manifestazione del Coisp. In quel momento avevo bisogno di qualcuno con cui trovare una chiave di lettura di questi anni. E il dialogo con lei mi è stato utile, mi ha fatto bene”. E da quel dialogo sono nate queste pagine, nella quali “io volevo raccontare dell’amore di Federico; ne hanno parlato come di un animale da sezionare in tribunale e invece era un ragazzo, era mio figlio…”.

Nel libro manca una introduzione, che l’autrice legge idealmente davanti al pubblico. È una lettera scritta da Paolo Burini, uno dei migliori amici di suo figlio, che ricorda come “una volta un giornalista mi domandò cosa mi avesse insegnato la storia di Federico… oggi risponderei che mi ha fatto capire che la gente ha paura delle cose sbagliate”.

“Ecco – prosegue la madre – questo libro forse è il mio saluto a tutto questo, vorrei servisse a far imparare qualcosa a tutti. Spero che la storia di Federico sia un contributo a un futuro migliore”.

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