Il pittore ferrarese Boldini ritrasse la Marchesa Luisa Casati (1881-1957) in due splendide tele che si mostrano. Non credo ve ne siano di lei al Museo Boldini.
Seconda figlia del ricco produttore di cotone Alberto Amann e di Lucia Bressi, passò a Milano un’infanzia privilegiata ma isolata. Durante l’infanzia cominciò ad appassionarsi alla vita di personaggi come Ludwig II di Baviera, l’imperatrice Elisabetta d’Austria, Sarah Bernhardt, Cristina di Belgiojoso e Virginia Oldoini, contessa di Castiglione. Con la prematura morte dei genitori, Luisa e la sorella maggiore Francesca, divennero ricchissime ereditiere.
Nel 1900 Luisa Amman sposò il marchese milanese Camillo Casati Stampa di Soncino (Muggiò, 12 agosto 1877 – Roma, 18 settembre 1946); nel 1901 nacque la loro unica figlia, Cristina.
La relazione con Gabriele D’Annunzio causò uno scandalo e Luisa Casati divenne particolarmente eccentrica, a partire dall’abbigliamento e dal vistoso trucco.
Nel 1910 acquistò a Venezia l’abbandonato palazzo Venier dei Leoni, oggi sede della fondazione e museo Peggy Guggenheim. Questo palazzo con ampi giardini fu la sua residenza fino al 1924. In questi giardini Luisa Casati accolse corvi albini, pavoni e ghepardi. Lì si tenevano anche feste ed appuntamenti mondani.
Nel 1923 decise di acquistare una casa a Parigi, il Palais Rose da lei soprannominato Palais du Rêve, chateaux alle porte di Parigi appartenuto a Robert de Montesquiou. Nel 1930 aveva accumulato, a causa del suo stile di vita, un debito di 25 milioni di dollari; impossibilitata a soddisfare tutti i creditori fu costretta a vendere il Palais e tutti i suoi contenuti furono messi all’asta. Tra gli acquirenti all’asta ci fu anche Coco Chanel.
Da Parigi emigrò a Londra, dove vivevano la figlia Cristina, con la quale aveva sempre avuto un rapporto burrascoso, e la nipote. Qui visse in povertà fino alla morte avvenuta nel 1957. È sepolta a Londra nel Brompton Cemetery. Il suo epitaffio, scelto dalla nipote, recita: «L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita». Sono le parole che usa Shakespeare per descrivere Cleopatra in “Antonio e Cleopatra”: “Age cannot wither her, nor custom stale her infinite variety”.
Il suo desiderio di diventare lei stessa un’opera d’arte attraverso la sua vita ed il suo aspetto estetico, la sua passione per l’arte la portarono a cercare artisti conosciuti ma anche a scoprire giovani talenti che la rappresentassero in quadri ad olio, schizzi, sculture e fotografie.
Molte delle opere sono andate perdute e molte altre appartengono a collezioni private. Di lei rimangono ritratti e sculture di Giovanni Boldini, Augustus John, Kees Van Dongen, Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Drian, Alberto Martini, Alastair, Giacomo Balla, Catherine Barjansky, Jacob Epstein e foto di Man Ray, Cecil Beaton e del barone Adolph de Meyer.
Fu anche “musa” dei futuristi, Filippo Tommaso Marinetti, Fortunato Depero e Umberto Boccioni, e contribuì con loro ad uno spettacolo di marionette su musiche di Maurice Ravel.
Qui al Westminster Cemetery c’è ancora la sua urna con l’epitaffio scespiriano. Ciò che di lei resta.
Gianluca La Villa
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