Cronaca
19 Novembre 2013
Raffaello Grifoni 'incolpa' Carife per la fortuna perduta giocando in borsa

Ex miliardario si incatena davanti alla banca

di Marco Zavagli | 4 min

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foto (640x461)Trolley rosso, catena con lucchetto e un cartello: “ecco come un istituto bancario è stato capace di ridurre una persona onesta e corretta”. Si è presentato così ieri mattina in Corso Giovecca 108 Raffaello Grifoni, classe ’60, fiorentino e, soprattutto, ex miliardario.

L’uomo si è presentato alle 8.30 nella sede della Cassa di Risparmio di Ferrara chiedendo di incontrare il commissario straordinario Bruno Inzitari. Di fronte al rifiuto di un appuntamento al volo, il 53enne si è incatenato all’esterno dell’edifico. E lì è rimasto tutto il giorno, fino a sera.

Il motivo? Secondo lui la Carife è responsabile della sua rovina. Per avergli fatto perdere centinaia di milioni (si parla ancora di vecchie lire) nell’azzardo del gioco di borsa, attraverso pericolose operazioni finanziarie fatte senza il suo consenso.

“Avevo un’azienda con 40 dipendenti e ho perso tutto”, racconta davanti al taccuino. Andiamo con ordine. Grifoni operava nel settore dell’editoria industriale. E gli affari non gli andavano certo male, viste le cifre che si permetteva di depositare e investire. Il pallino della Borsa gli viene negli anni ’90. Verso il ’91 approda in Carife. Tutto fila per il verso giusto fino al ’98. “Nel dicembre di quell’anno – spiega – stipulai, su proposta dei dipendenti della la filiale 1 di Ferrara di Carife, un contratto di negoziazione di strumenti finanziari, affidando alla banca 600 milioni di vecchie lire”. Secondo Grifoni gli operatori della Cassa gli avrebbero fatto investire i suoi soldi in titoli e azioni per via telefonica. “Una procedura che dovrebbe portare alla nullità di quei contratti – sostiene oggi, perché carente del requisito della forma scritta”.

A questo si aggiungono operazioni sui derivati, “con il versamento alla banca dei margini di garanzia, senza però che nel contratto fosse prevista apposita autorizzazione al prelievo delle somme necessarie. La banca poi doveva informare tempestivamente il cliente per iscritto in caso di perdita superiore al 50% del valore dei mezzi investiti. E a me non è stato spiegato nulla sui rischi degli investimenti. Anzi, mi è stato consigliato di fare operazioni su FIB (operazioni ad alto tasso di rischio)”.

In sintesi i primi cinque contratti stipulati già a gennaio del ’99 gli procurano una perdita di circa 154 milioni di lire. Una settimana dopo le perdite erano salite a 350 milioni. Un’altra perdita, di 160 milioni, arriva dalla vendita di azioni nel giugno ’99. questo fino al settembre del 2000, quando il toscano ordina la vendita di tutti i titoli in portafoglio e preleva contanti per 235 milioni.

In settembre Carife gli blocca alcune azioni a garanzia di un esiguo scoperto. “Da miliardario che ero mi sono ritrovato senza mezzi economici e ho perso la mia ditta” fa scrivere al giudice.

Tutto eseguito, secondo l’ormai ex cliente, sotto una sorta di consenso viziato. Ecco allora che nel 2003 intenta una causa civile contro Carife per ottenere la nullità dei contratti e il relativo risarcimento danni (circa 360 mila euro), che si conclude nel 2007 con il rigetto di tutte le sue istanze e la condanna al pagamento delle spese processuali anche del convenuto. È la sentenza 789 del 2007 emessa dal tribunale di Firenze.

Una “ricostruzione pretestuosa” secondo i legali di Carife. Grifoni era cliente già dal ’91 e da anni operava con strumenti finanziari. Non era insomma uno sprovveduto o un semplice risparmiatore.

Agli operatori inoltre aveva detto che seguiva quotidianamente l’andamento dei titoli di borsa e che voleva sperimentare i derivati. “I dipendenti convenuti in giudizio – fanno notare nelle proprie memorie difensive gli avvocati – gli avevano illustrato il rischio insito in alcuni titoli. Ma lui ha insistito e ha firmato il contratto quadro iniziale. Quanto agli ordini via telefono, sono validi perché regolarmente registrati su nastro magnetico, all’epoca della causa non più riproducibili perché cancellati dopo due anni come da prassi”. In merito alla mancanza di adeguate informazioni sui titoli quotati, “la banca aveva correttamente richiesto le informazioni previste dal regolamento Consob circa il suo profilo finanziario, le disponibilità economiche, lo scopo dell’investimento e il livello di rischio. Fu Grifoni a rifiutarsi di fornirle, barrando la relativa casella ”.

Tutte eccezioni accolte dal giudice Luigi Miraglia, secondo il quale “in sostanza il cliente voleva “scaricare” sulla Cassa gli esiti negativi di scelte di investimento estremamente rischiose.

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