Non una violenza sessuale ma un equivoco sulle reali intenzioni del professore. Dovuto al clima che in quei giorni si era creato a scuola, dove un preside e un professore erano finiti sui giornali per una presunta violenza sessuale ai danni di tre studentesse.
È ripreso ieri davanti al tribunale collegiale di Ferrara il processo contro un docente di italiano in un istituto superiore di Ferrara, 67 anni, accusato da una sua studentessa di averla invitata in casa sua con la scusa di parlare della sua situazione scolastica e di averla molestata.
Alla precedente udienza la giovane, costituita parte civile in giudizio attraverso l’avvocato Mattia Romani, aveva raccontato quanto secondo la sua versione avvenne il 2 febbraio del 2010. Lei aveva diverse materie insufficienti e si avvicinava l’esame di maturità. Il prof l’aveva invitata a casa sua per parlarle. Li incrocia la donna delle pulizie che chiede di poter pulire la stanza. Salirono al piano superiore e qui lui avrebbe tentato di baciarla e avrebbe allungato le mani. Dopo l’approccio lui l’accompagnò al bar di sotto per mangiare qualcosa e quindi in stazione per prendere il treno e rincasare. Anche successivamente a quell’incontro la studentessa sarebbe stata presa di mira con altre proposte e ammiccamenti, specialmente telefoniche, tanto da farle soffrire di improvvisi attacchi di panico quando lo incrociava nei corridoi a scuola.
Completamente diversa la versione fornita ieri dall’imputato, difeso dall’avvocato Beniamino Del Mercato. “La ragazza mi parlò di problemi familiari… Le proposi un patto: lei sarebbe stato più presente a scuola, magari lasciando il lavoro nel pub che la faceva arrivare tardi a lezione o addirittura saltare la giornata, e io avrei cercato di aiutarla”. In quella stanza “eravamo seduti in due poltrone ad angolo. Guardai l’orologio e vidi che era tardi. Ci siamo alzati contemporaneamente e ci siamo trovati a un metro di distanza, ma senza intimità”. Il docente ricorda che la ragazza voleva finire a tutti i costi l’anno scolastico (“per farlo mi disse che era disposta a tutto”) e che accettò di buon grado il loro patto. Così, già quel pomeriggio, perorò la sua causa nel collegio dei docenti.
La studentessa però “non mantenne il patto” e “le dissi che l’avrei aiutata solo se diventava più affidabile”. Nel frattempo, siamo ad aprile, i genitori della ragazza si presentano due volte. Chiedono se è il caso di ritirare la figlia. “Credendo alla buonafede di lei dissi che c’erano sì dei problemi, ma che c’era tutto il tempo per rimediare”.
I rapporti con l’allieva, che continua a marinare la scuola, si inaspriscono: “ho l’impressione che tu stia giocando col fuoco. Sappi che d’ora in avanti non c’è più nessun patto e ti valuterò per quello che fai”. il botta e risposta continua tramite sms giudicati equivoci: “come stai scorpioncino?”. “Mi disse che era dello scorpione, era un moto d’affetto perché pensavo fosse successo qualcosa tra lei e la famiglia”, si giustifica in aula il docente.
Davanti ai giudici poi l’imputato ammetterà che solo in 3 o 4 occasioni aveva invitato altri studenti da soli in casa propria. E a un altro paio di alunni aveva mandato sms.
Dopo la denuncia l’imputato insegna dal 21 aprile al 7 maggio. Poi gli comunicano la sospensione. Quel giorno ebbe un colloquio con la direttrice scolastica e con un ispettore dell’Ufficio scolastico regionale. Ai giudici la preside dirà che lui minimizzò la denuncia: “disse che tanto era maggiorenne e consenziente”. Di quello scambio invece non si accorso l’ispettore, che anzi apprezzò la volontà dello stesso docente di essere allontanato dall’insegnamento verso la giovane che lo aveva denunciato.
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