Era rimasta incinta ma il suo uomo, di origine marocchina, rischiava di non poter rimanere con lei durante la gravidanza. Non in regola con il permesso di soggiorno in Italia, lui aveva bisogno di un contratto di lavoro che gli permettesse di restare accanto a lei fino alla nascita del loro figlio, per poi ottenere il ricongiungimento famigliare.
La futura madre, una ragazza di 26 anni, si confidò con una coppia di amici. Era il 16 luglio del 2010. Uno di loro le propose di contattare un conoscente di Bologna, titolare di un’azienda che avrebbe potuto assumere il compagno. Finse una telefonata di accordo e le propose di concludere l’affare: 5mila euro per le pratiche di regolarizzazione e la domanda di assunzione, tanto voleva il datore di lavoro.
La 26enne consegnò una prima tranche di 2500 euro, per poi aspettare invano che la situazione si sbloccasse. Il mediatore, l’amico, si era reso praticamente introvabile. Fino a quando non le disse chiaro e tondo che ormai, visto che non aveva consegnato in tempo tutto il denaro, non se ne sarebbe fatto più nulla.
Lei lo denunciò e ieri si è concluso il processo contro di lui, Alessandro Cavallari, 42 anni. Coimputata era anche la moglie, che era presente all’incontro della finta promessa di regolarizzazione. Per loro il pm Stefano Antinori ha chiesto 8 mesi per lei e un anno per lui. Il giudice Alessandro Rizzieri ha deciso diversamente, assolvendo la donna e condannando l’uomo a un anno e 4 mesi, oltre a 5mila euro di risarcimento alla persona offesa, costituita parte civile attraverso l’avvocato Gianluca Filippone.
Per la cronaca, la ragazza ha partorito e il compagno è riuscito a stare accanto a lei e al loro figlio.
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