
Nella foto, da sinitra: Francesco Levato, Giuseppe Magri, Giorgio Dragotto, Ugo Taddeo e Antonio Fortini
Il Popolo della libertà si ritrova dimezzato. Questa mattina, in cinque tra consiglieri comunali e provinciali hanno lasciato i gruppi d’appartenenza, affermando però al tempo stesso che non è loro intenzione uscire dal partito. Gli addii sono di peso: se ne va il presidente del gruppo in Municipio Francesco Levato, insieme al candidato sindaco nel 2009 Giorgio Dragotto e ad Antonio Fortini, mentre anche in Castello dà il benservito il capogruppo Ugo Taddeo, seguito pure in questo caso da Fortini (è consigliere in entrambe le istituzioni) e da Giuseppe Magri. I cinque vogliono tornare ai principi “cristiani-liberali e riformisti”, e già nel nome richiamano quella storia: in entrambi i consigli, i gruppi si chiameranno ‘Liberi e forti’, titolo che il fondatore del Partito popolare italiano don Luigi Sturzo diede al suo appello del 1919.
Taddeo, il più infervorato, insiste nel ricondurre lo strappo a questioni nazionali, e spera che il gesto giunga “ad Arcore, a Roma, ad Alfano. Non ne ho potuto più quando ho sentito un importante esponente del mio partito affermare che si può reintrodurre la tassa sulla casa. Questo decreto indegno – si riferisce al ‘Salva-Italia’ – può ancora essere emendato o non votato: il Pdl parte da altri presupposti e non possiamo approvare qualcosa che non ci appartiene”. Il problema principale sarebbe insomma il “salasso di undici miliardi e mezzo” dovuto alla reintroduzione dell’Ici: per l’ormai ex capogruppo l’intenzione non è certo quella di “dimezzare il congresso del partito – che si terrà sabato 17 e vedrà Luca Cimarelli unico candidato a coordinatore http://www.estense.com/?p=185252 – o fare dispetti a qualcuno”.
Con la consueta pacatezza, entra invece nel dibattito locale Levato: “Non siamo dragottiani contro balboniani – premette, riprendendo la storica divisione all’interno del centrodestra ferrarese –. Il malessere su quanto sta avvenendo nel Pdl non appartiene solo a Dragotto: il partito che sta venendo fuori lascia perplesso anche me”. La questione sarebbe innanzitutto di metodo: “Alberto Balboni e Luca Cimarelli – rispettivamente coordinatore uscente ed entrante – mi hanno proposto di far parte del nuovo coordinamento, ma se me lo si chiede è perché io porti un contributo al progetto, non per avere un posto al sole di cui non ho bisogno”. Il coinvolgimento di questa parte del Pdl, insomma, sarebbe stata solo una formalità.
Levato ricostruisce la cronistoria dello strappo: “Ho saputo da una mail, inviata da Balboni quindici-venti giorni fa, che a metà dicembre si sarebbe celebrato il congresso, e da ciò ho percepito che non ci sarebbe stata la possibilità di un percorso unitario. Allora ho risposto che dal primo gennaio sarebbe cessato il mio incarico di capogruppo, ma con ciò volevo lanciare un messaggio: ripartiamo insieme, c’è ancora tempo, altrimenti non me la sento di restare a presiedere un gruppo senza aver partecipato al progetto”. La risposta di Balboni non si è fatta attendere, ma il senatore si sarebbe limitato, sempre stando alla ricostruzione di Levato, a chiedergli di soprassedere alle dimissioni, senza dunque correggere la rotta.
“Se Balboni e Cimarelli lo vogliono, io sabato a votare ci vado anche – riprende Taddeo –, perché il problema è soprattutto nazionale. Berlusconi si deve liberare di certe zavorre per tornare allo spirito originario, e non stare qui a subire tasse indecenti. Balboni sa da mesi che soffro, e mi ha chiesto di non abbandonare per responsabilità verso la nostra gente, ma che responsabilità è aumentare le tasse in questo modo?!”.
Ci pensa Dragotto a riportare il discorso tra il Po ed il Reno, contestando l’opportunità stessa di svolgere un congresso: “Tenerne uno ora, con il paese in difficoltà totale, significa ballare sul Titanic mentre si dirige verso l’iceberg, e ciò vale per qualunque partito”. In ogni caso, “il Pdl non ci rappresenta più”, ed ecco allora che l’ex candidato sindaco prefigura altri scenari: “Noi oggi ci scartiamo di lato e cerchiamo di capire se ci sono altre possibilità d’azione, senza preclusioni. Buttiamo la palla in campo – è la metafora –: vediamo se qualcuno la passa di nuovo dalla nostra parte”. Intanto, ovviamente, “al congresso non andremo, perché si è occupato di fare tessere anziché di creare i presupposti per vincere, e anche dove abbiamo vinto – il primo riferimento è Comacchio – ci siamo persi in giochi di potere”. Del resto, Dragotto non crede che si perderà granché: “Fra dodici mesi staremo discutendo d’altro, e credo proprio che nessuno ricorderà il 17 dicembre come una giornata di gloria”.
Il gruppo del Pdl in Comune si ritrova dunque ormai ridottissimo. Partito ad inizio mandato con nove consiglieri, l’anno scorso Enrico Brandani, Francesco Rendine e Simone Lodi lo lasciarono per costituire Futuro e Libertà (che Lodi abbandonò poi per il Misto); con gli addii di oggi restano a farne parte solo Cimarelli, Giampaolo Zardi e Federico Saini, che però, stando a quanto si affermava a margine della conferenza stampa, sarebbe in bilico.
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