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4 Settembre 2017
L’Istituto per il teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini celebra con una mostra monografica la figura della grande attrice

Lyda Borelli primadonna del Novecento

di Paola Forlani | 6 min

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Nell’anno del suo decennale, l’Istituto per il teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini, celebra con una mostra monografica la figura della grande attrice Lyda Borelli (La Spezia, 1887 – Roma, 1959) – prima moglie di Vittorio Cini – una delle più affascinanti interpreti italiane del primo Novecento, nonché icona liberty e donna d’avanguardia. Lyda Borelli primadonna del Novecento, a cura di Maria Ida Biggi, attraverso immagini, rari documenti d’archivio, una straordinaria galleria di fotografie stereoscopiche, la ricostruzioni di suoi celebri costumi di scena e diversi ritratti di noti pittori dell’epoca, riporta alla luce quella che è stata la carriera teatrale dell’attrice, dai grandi successi sui palcoscenici d’Italia e del mondo, sino al trionfo cinematografico. La mostra aperta al pubblico a Venezia, città in cui l’attrice visse a lungo, dopo il ritiro dalle scene avvenuto nel 1918 in seguito alle nozze con l’industriale Vittorio Cini che la porterà con sé in laguna. Una mostra aperta proprio nel palazzo in cui la coppia visse, a San Vio fino al 15 novembre 2017 (Catalogo Fratelli Alinari). Dunque, innanzitutto Lyda Borelli veniva considerata una donna di sublime bellezza, e le tante immagini della mostra ci consentono di comprendere il perché di questa fama. Era certo una bellezza, la sua, che sembrava davvero disegnata secondo i canoni della sua epoca, di gusto preraffaellita, si diceva, con una grazia Art Nouveau nella snella sinuosità della sua figura, e con un misto di ingenuità e di determinatezza. Così almeno ce la descrivono i testimoni dell’epoca, sempre con toni di profonda venerazione. C’è da dire, inoltre, che davvero la Borelli sedusse non soltanto un vastissimo pubblico, ma tutta la cultura dell’epoca, promossa così a musa ispiratrice anche su fonti radicalmente opposti.

E se il suo primo successo è a 17 anni nel ruolo di Favetta ne La figlia di Iorio di D’Annunzio, cosa che comporterà la devozione eterna del Vate, Boccioni qualche anno prima di dar vita al Futurismo dichiarerà “Se potessi studiare su quella donna potrei forse trovare quello che cerco”, e persino il grande antagonista di tutti gli “ismi” contemporanei, Guido Gozzano le scriverà, “Voi che date alla ribalta una così intensa visione di vita, lasciate in chi v’accosta nella vita il vago sospetto di avervi soltanto sognata”.

Non a caso anche in teatro l’attrice spazierà tra stili e forme diverse e il suo cospicuo repertorio attraverserà tutti i generi teatrali, toccando le più varie direttrici della drammaturgia contemporanea italiana, anche se il suo cavallo di battaglia resterà la scabrosa Salomè di Wilde. Sarà poi il passaggio alla nuova arte, muta e impalpabile, del grande schermo a conferirle per sempre l’aura della divinità.

Bella e adorata da tutti, dunque, ma quello che i suoi contemporanei ci tenevano a sottolineare era che si trattasse comunque di un’attrice vera, seria, tutta dedita allo studio e al lavoro. Del resto Lyda è figlia d’arte, il padre Napoleone aveva recitato in importanti compagnie così come la madre Cesira Banti, che poi si era ritirata per seguire le due figlie attrici : Lyda e Alda.

E Lyda, immediatamente notata da tutti, entra a far parte giovanissima di compagnie prestigiose, lavorando con Vittorio Talli e con Maria Melato, con Irma Grammatica e con Ruggero Ruggeri, trovandosi in un paio di occasioni persino accanto alla Duse.

Nel seminterrato della sua casa a Roma, Domizia Alliata aveva decine di scatoloni pieni di ricordi di famiglia che nel tempo erano stati aggrediti da muffe e allagamenti, <<Con mia grande sorpresa apparvero diversi materiali d’epoca relativi a Lyda Borelli, la nonna materna, di cui in casa si esitava parlare>>.

Come già detto Lyda Borelli è stata, con Francesca Bertini, una delle grandi attrici del Novecento. In quella cantina sono state ritrovate lettere di Gabriele D’Annunzio, Ada Negri, Guido Gozzano, Matilde Serao; ritagli di giornale; foto che la ritraggono nella tournèe in Sudamerica, sui primi rudimentali monoplani accanto al pilota, o al volante di un’automobile: “Il mio più gran piacere è quello di slanciarmi sull’auto, godendo di riempirmi i polmoni con un torrente d’aria. Ѐ la febbre del possesso del dominio”. Così da questi tesori trovati dalla nipote Domizia si è giunti alla mostra e al volume dei Fratelli Alinari.

Non si trattava solo di affetti familiari ritrovati. Lyda Borelli, con il suo modo di vivere fuori e dentro la scena, è stata una donna coraggiosa e emancipata, una sorta di pioniera del femminismo. Diceva: “Bisogna sfatare la leggenda che attribuisce alle donne tutto ciò che è debole e fatuo”.

Dettò le mode per la ricchezza di toilettes che ne esaltavano avvenenza e grazia fisica. Fu la prima a recitare senza gonna, in jupe-culotte, il primo pantalone femminile (creato a Parigi), nel 1911 durante Il Marchese di Priola di Henri Lavedan al Teatro politeama Nationale di Firenze: il cronista del “Corriere della sera” telegrafò: “la great attraction della serata era costituita dal fatto che Lyda Borelli doveva vestire la jup-culotte. Il pubblico ha accolto l’entrata della bella artista con un momento indefinibile”, l’indomani scoppiò il caso tra favorevoli e contrari sugli altri giornali: “movenze feline”; no “goffa, sgraziata”.

Incarnò l’immagine di quel gusto decadente che nel volgere di poco sarebbe stato inghiottito dai cannoni e dalle trincee della Prima guerra mondiale e dalle avanguardie letterarie e artistiche che facevano capo al Futurismo.

Colta e raffinata, Lyda si inserì nel mondo intellettuale, partecipò al Congresso Femminile della Cultura, parlava di Henry Bataille i cui personaggi passionali amava più di ogni altro, all’entrata in guerra dell’Italia si presentò al Teatro Manzoni di Milano impugnando il tricolore. Ma nel 1917 arrivò la stroncatura di Antonio Gramsci sulle pagini de “L’Avanti”, ideologicamente contrario al teatro commerciale e borghese: “Nessuno sa spiegare cosa sia l’arte della Borelli, perché essa non esiste. Non sa interpretare nessuna creatura diversa da se stessa”. Scrisse Orio Vergani: “Con lei si chiude un’epoca, un gusto, uno stile. Lyda Borelli aveva immortalato e bruciato il tempo stesso le immagini e gli accenti di tutta una generazione”.

Certo è curiosa la sua parabola. Come racconta Maria Ida Biggi, curatrice della mostra, a quarant’anni della scomparsa del marito, il conte e senatore Vittorio Cini che, “vittima del pregiudizio di quanti vedevano un che di maledetto nel mestiere del teatro, aveva fatto di tutto per rimuovere le testimonianze della brillante carriera della moglie”.

Resta, in realtà, il ricordo di una donna determinata, capace di decidere da sola il cammino della sua vita.

Fino a dedicarsi solo al matrimonio e alla famiglia, lasciando fama e folle osannanti, scontrandosi anche con la sofferenza per la morte del figlio Giorgio, deceduto nel’49 in un incidente aereo, in memoria del quale i genitori daranno vita alla fondazione che porta il suo nome sull’isola veneziana dedicata al santo omonimo.

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