Cronaca
4 Agosto 2017
Scatta la prescrizione per l'applicazione della legge 231 ma per i sottoscrittori dell'aumento di capitale rimane la possibilità di chiedere eventuali risarcimenti

Crac Carife. Le banche si salvano a metà, per gli azionisti non cambia nulla

di Daniele Oppo | 2 min

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La prescrizione fa saltare un piccolo-grande pezzo del processo sull’aumento di capitale della Carife, ma nulla cambierà per gli azionisti che cercheranno un risarcimento.

Parliamo delle contestazioni che riguardano direttamente le banche coinvolte – in quanto società – nell’aumento di capitale da 150 milioni di euro effettuato nel 2011: Carife, Carife Sei, CariCesena e Banca Valsabbina. Durante le indagini, procura e Fiamme Gialle avevano contestato alle banche la corresponsabilità nelle condotte penalmente rilevanti contestate ai loro amministratori o funzionari. Questo in base alla legge 231 del 2001 che ha introdotto questo nuovo tipo di responsabilità per le banche, strettamente legata ai reati commessi dalle persone fisiche (in questo caso dai vertici o comunque dagli amministratori delle banche) prevedendo diversi tipi di sanzioni: da quelle pecuniarie a quelle interdittive, fino alla confisca del prezzo o del profitto incamerati grazie ai reati contestati.

Il problema è che la prescrizione è piuttosto breve: cinque anni dalla commissione del fatto, e ormai – nel 2017 – il termine è ampiamente scaduto. Per questo le banche – ripetiamo, in quanto enti societari – si sono ‘salvate’ e la 231 non è più applicabile nei loro confronti.

Tutto ciò però non cambia nulla per i quasi mille azionisti che hanno sottoscritto l’aumento di capitale e che hanno intenzione di costituirsi parte civile nel processo – l’udienza preliminare è in programma per il prossimo 20 settembre – nei confronti di 12 imputati accusati a vario titolo di formazione fittizia di capitale (operata dalle banche con sottoscrizioni reciproche abbastanza complesse), falso in prospetto, aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e, infine, come conseguenza della formazione fittizia del capitale, la bancarotta fraudolenta.

La 231 infatti inserisce nell’ordinamento italiano un terzo genere di responsabilità per le società, che però è esclusivamente verso lo Stato: quella di non aver adottato tutte le misure idonee per evitare (o, perlomeno, per abbassare il rischio) la commissione di reati da parte dei propri amministratori e/o dipendenti.

Rimane ovviamente la possibilità per gli azionisti di costituirsi parte civile nei confronti dei singoli imputati, autori materiali dei reati contestati. E le banche coinvolte potranno comunque essere chiamate a processo in qualità di responsabili civili e pagare, in caso di condanna, i risarcimenti stabiliti dal tribunale.

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