Comacchio
20 Giugno 2017
Contestata al dirigente Fedozzi, imputato di omicidio colposo, anche la segnaletica orizzontale

Incrocio della morte. Gli arbusti coprivano lo stop

di Redazione | 3 min

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Comacchio. La visibilità in prossimità di quell’incrocio era impedita dalla vegetazione e dalla flebile segnaletica orizzontale. È la tesi che la procura sostiene contro Claudio Fedozzi, ex dirigente ai Lavori pubblici di Comacchio, ora all’Urbanistica, imputato per omicidio colposo a seguito del tragico incidente stradale tra via Fosse e via Umana dell’aprile 2014.

In quell’occasione persero la vita persero la vita Nicola Buonafede, comacchiese di 23 anni, Spasojka Kukilo e Radmilla Pejovic, due donne di nazionalità serba di 45 anni. Fedozzi Claudio Fedozzi – difeso dagli avvocati Riccardo Caniato e Riccardo Venturi – è ritenuto responsabile per non aver garantito le condizioni di sicurezza della strada, in particolare per quanto riguarda la visibilità della segnaletica, fattore che avrebbe contribuito in maniera preminente al verificarsi del terribile incidente.

Ieri davanti al giudice Debora Landolfi ha parlato Antonio Pini dirigente dell’ufficio Lavori pubblici del comune di Comacchio, subentrato proprio a Fedozzi. Dal suo esame è emerso come gli interventi di sfalcio degli arbusti che nascondevano il cartello di stop e la tinteggiatura della segnaletica orizzontale fossero stati eseguiti solo dopo l’incidente. Questo anche perché, come ha sostenuto il testimone, “via Fosse era in una situazione particolare. Era una strada rimasta chiusa dall’agosto del 2013 al giugno 2014 a causa del crollo parziale di un ponte”. L’accesso alla via era interdetto da transenne e solo chi vi lavorava e i residenti potevano accedervi. Il cantiere in corso inoltre “rendeva difficile compiere le operazioni di sistemazione della segnaletica orizzontale e verticale”.

Ma l’incidente si verificò due giorni dopo la chiusura del cantiere e, come mostrano le foto mostrate in aula, il cartello rosso dello “stop” era quasi del tutto nascosto dalla vegetazione. In quel momento non c’erano neppure direttive né somme previste per far eseguire i lavori di messa in sicurezza. La segnaletica verrà rifatta circa 15 giorno il sinistro mortale, “grazie ai soldi provenienti dal fondo di un appalto già in essere”, specifica Pini. La potatura degli arbusti in prossimità dell’incrocio invece fu eseguita 4/5 giorni dopo. “ma non avrei proceduto – precisa – se ci fosse stato ancora il cantiere in corso”.

“I soldi per questo tipo di interventi sono sempre pochi”, giustifica il dirigente, al quale il pm Giuseppe Tittaferrante però ricorda che “c’erano fondi regionali vincolati alla manutenzione delle strade”. “Alcuni sono stati spesi, altri accantonati”, risponde Pini.

L’avvocato della difesa Riccardo Venturi fa notare che “dovrebbe essere il proprietario frontista, secondo il codice della strada, a provvedere alla rimozione delle piante invadenti” e che “il geometra addetto al verde pubblico era un altro”. In effetti la squadra addetto al verde pubblico contempla un geometra e due o tre operai, “ma da soli non possono coprire l’intero territorio comunale – spiega Pini -, tanto che il maggior numero di segnalazioni lo riceviamo dalle pattuglie dei vigili urbani”.

Dopo pini sul banco dei testimoni è salita la ragazza che lavorava con Bonafede (i cui familiari si sono costituiti parti civili attraverso gli avvocati Samuele Bellotti e Gloria Persanti). Fu sua l’ultima chiamata (“il telefono fece solo due squilli, ma lui non rispose”) al giovane. Il cellulare verrà ritrovato tra il sedile del passeggero e la portiera. Secondo la difesa il ragazzo conosceva bene la strada e si sarebbe distratto mentre cercava di rispondere al telefonino.

Il processo proseguirà il 26 giugno con i consulenti delle parti.

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