Attualità
24 Giugno 2016
‘Tortura è reato’, ma non in Italia. Fuori programma agli Emergency Days

“Ecco come mio figlio è stato ammazzato”

di Redazione | 4 min

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di Silvia Franzoni

“La nostra non sarà più vita”. È il momento più toccante della serata inaugurale degli Emergency Days a Ferrara. Una madre che racconta come suo figlio è stato ammazzato da un uomo in divisa. Nel mezzo del dibattito dal titolo ‘La tortura è reato’ il direttore di Estense.com Marco Zavagli fa alzare dal pubblico una signora seduta in prima fila. Le chiede se la sente di parlare, se riesce a raccontare la sua storia, e le cede il microfono.

Lei è Giusi Businaro, madre di Mauro Guerra, 33enne di Sant’Urano, nella provincia di Padova, ucciso il 29 luglio del 2015 con un colpo di pistola dopo un tentativo fallito di tso, terminato con la fuga del giovane e una violenta collutazione con un carabiniere che riporterà 30 giorni di prognosi. “Lo sono venuti a prendere a casa mentre dipingeva – racconta la donna con la voce strozzata – e poi l’hanno rincorso in un campo, dove un carabiniere gli ha sparato”. Dopo undici mesi le indagini sono ancora alla fase larvale, il carabiniere che ha sparato per difendere il collega è stato indagato per omicidio colposo e la perizia ha smentito l’ipotesi ufficiale che voleva Mauro pieno di anabolizzanti, ma ancora “non sappiamo nulla, la nostra – spiega con gli occhi persi nel vuoto – non sarà più vita”.

È una delle tante storie di ‘torturati’ andate in scena nel corso dell’incontro pubblico, ricordate e analizzate da esperti di diritto, avvocati, docenti universitari, ex sindacalisti di polizia e vittime.

“Nel 1988 abbiamo aderito alla Convenzione Onu sul reato proprio di tortura – spiega nella sua introduzione tecnica l’avvocato Elia De Caro, responsabile dell’osservatorio Antigone Emilia Romagna –, poi se ne è riparlato allo scoppiare di singole emergenze, a più riprese invano per colpa di forze composite che l’hanno sempre avversata”. Ma la scandalosa mancanza di legiferazione in merito al reato di tortura – riguardo alla quale si è espressa anche la corte di Strasburgo, condannando il Bel Paese per i fatti della Diaz, ndr – forse è addirittura preferibile alla proposta di legge che langue in Senato: “nessuno dei casi di cui ci siamo occupati – denuncia l’avvocato ferrarese Fabio Anselmo – sarebbe rientrato nei casi previsti da quella legge”. “Oggi il percorso legislativo – ricorda Zavagli – è fermo al tweet-promessa del premier Renzi datato aprile 2015”.

L’assenza di meccanismi propri di uno Stato di diritto che voglia dirsi tale è colpevolmente perpetuata in ragione di una “insicurezza percepita che non è minimamente ancorata – continua Anselmo – a reali problemi di sicurezza interna”: si è gridato da più parti, infatti, che l’introduzione del reato di tortura non avrebbe permesso ai corpi di polizia di svolgere il proprio lavoro, ma questo non significa altro che “la tortura è una prassi”. Tacciono le istituzioni, tace l’opinione pubblica, e si accresce il fronte dei negazionisti e degli oppositori; le loro argomentazioni, però, “sono tutte fallaci, subdole e ricattatorie”, ammonisce Marina Lalatta Costerbosa (docente Filosofia del diritto UniBo): “la tortura è un dato di fatto”, tuona, ma è oggetto di un “tabù al rovescio, è difficile riconoscerla”.

Il microfono passa poi a Luigi Notari, poliziotto di lungo corso, già segretario del Siulp. Secondo Notari, in una “Italia paese di tifosi, dovrebbe essere la politica a partecipare alla riflessione, a prendere posizione”: la riflessione, altrimenti, rischia di isolarsi. Non si cerca di evadere il discorso, perché i suoi giudizi sono tutt’altro che lusinghieri: i sindacati di polizia? “Patronati usati come difesa”; i corpi di polizia? “Forze che hanno una formazione militare del tipo amico-nemico, ma sono parte del welfare state”. Notari chiede a gran voce una corretta formazione per gli agenti, “che sono operatori sociali”, ma nei tristemente noti casi Aldrovandi e Cucchi la formazione c’entra ben poco. “È un problema diverso – spiega Anselmo – un problema basico, culturale, di violenza omicida gratuita, inaccettabile perché si dovrebbe, ma non si è tutti uguali davanti alla legge”.

Ci sono, infatti, morti che non contano nulla. Persone che meritano un po’ di dignità umana, sì, ma non tutta. Famiglie distrutte perché “la tortura si propaga per generazioni”: ne parla Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, deceduto penitenziario di un ospedale romano sette anni fa. “Da quel momento non sono più la stessa, il mio mondo ovattato è finito: mio fratello è morto di dolore, da solo come un cane, a 31 anni. Mi conoscete tutti perché la mia è una battaglia: chiedo allo Stato di giudicare se stesso”.

Un’equazione, a conclusione, ad incorniciare tutto: “la tortura è costitutiva dei sistemi totalitari – evidenzia De Caro – e lo Stato che non introduce regolamenti in materia è complice di quel crimine”.

L’intervento di Giusi Businaro

L’intervento di Giusi Businaro (II parte)

L’intervento di Ilaria Cucchi

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