Cronaca
27 Luglio 2015
Davide Beltrami: “Ogni giorno è un regalo e ogni persona che porto in giro un insegnamento”

Amico Bad, da disoccupato a taxista ‘salva-vita’

di Redazione | 6 min

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Antonio Davide Beltrami, conosciuto da tutti come Bad, è ora tassista regolare, dopo anni di difficoltà. Ci ha raccontato la sua storia, che parte da lontano. Con la sua associazione, Amico Bad taxi, Beltrami opera sia sui lidi comacchiesi che sulla zona di Ferrara e provincia, con l’intento di portare a casa sani e salvi i ragazzi dalle uscite notturne, evitare ritiri della patente, aiutare gli anziani e disabili nei trasporti.

Bad, da dove è nata questa idea?

“È nata da quando sono rimasto disoccupato. Prima ero un autista di pullman, ma a 39 anni sei considerato già troppo vecchio per cercare un nuovo lavoro, seppur nello stesso campo. Gli annunci parlano di gente con esperienza, ma se ce l’hai e non sei più giovanissimo, il lavoro non te lo danno lo stesso. Mi sono quindi ritrovato a casa e da lì è iniziata la mia avventura da abusivo, perché a Comacchio non mi davano la licenza. Una cosa che ho sempre voluto fare era un’associazione, così ho iniziato a crederci. Era qualcosa che sentivo di fare, anche da regolare, ma non ci riuscivo per mancanza di fondi. Sa, da disoccupato era difficile trovare i soldi e nessuno ha mai creduto in me. Solo adesso iniziano a credermi, dopo sette anni di attività”.

Quindi ha pensato all’associazione come a un modo per rendere il più legale possibile, diciamo, questa situazione?

“No, l’idea dell’associazione parte da prima, diciamo che ho sempre creduto nell’associazionismo, forse perché ho fatto il militare per circa dieci anni nei paracadutisti, anche in Iran e in Iraq nel periodo della guerra. Fatto sta che quelli che dicono che le associazioni non sono a scopo di lucro, dicono delle cavolate. Ci vogliono dei soldi anche solo per mantenere una macchina, l’assicurazione annuale per il trasporto, la benzina, gli inevitabili pezzi di ricambio e il meccanico… Sicuramente esistono anche le associazioni onlus, ma non sono tutti volontari. Il primo anno questo lavoro l’ho fatto prima di tutto per mangiare, dopo ho iniziato seriamente a crederci, ma la licenza non ce l’avevo ancora e dovevo creare qualcosa di più regolare. Non mi è mai piaciuto essere un irregolare, anche se ormai lo sapevano tutti. Per tutti ero l’uomo dei 5 euro, perché chiedevo questa cifra a viaggio, anche per andare a prendere una sola persona e per tutti i 35 chilometri dei lidi di Comacchio. Nella mia irregolarità, cercavo di essere il più onesto possibile, perché a me interessava anche altro”.

Qual è appunto lo scopo della sua associazione?

“Inizialmente, come faccio tuttora, quello che più volevo era portare a casa sani e salvi i minorenni, e le ragazze soprattutto. Il tassista a fine della giornata pensa solo a quanto ha guadagnato, il che è ovviamente giustissimo, ma non pensa al fatto di aver portato a casa trenta ragazzine dai 15 ai 17 anni, fin davanti a casa, sicure, senza problemi. Il mio primo pensiero è sempre stato questo, e non perché voglia fare lo splendido. L’ho sempre fatto, perché questo mondo è diventato schifoso e i ragazzi automaticamente ci sono in mezzo, bisogna difenderli. Sa qual è la cosa più bella?”.

No, mi dica.

“La cosa più bella del mio lavoro è essere fermati il giorno dopo dai genitori dei ragazzi, che ti dicono “grazie che esisti”. La soddisfazione più grande è questa. Poi, se pensi al guadagno, da ex disoccupato posso dire che con i pochi soldi che mi rimangono in tasca a fine serata ci vivo comunque abbastanza bene. Poi non è tutto rose e fiori, anzi. Mi sono preso anche degli insulti da parte di chi fa il tassista. Da due anni sono regolare anche io, finalmente ho la mia licenza comunale di noleggio auto con conducente, ma si è creata una guerra tra poveri. Non hanno ancora capito che la forza sta nel gruppo e non nel singolo. Grazie all’associazione e al mio lavoro mi sono tirato su, perché i miei ragazzi mi portavano ad essere sorridente e spensierato. È stata ed è una gara dura, a portare avanti l’associazione sono da solo, non ho le spalle coperte da nessuno, anzi”.

Che altri obiettivi ha ora?

“Pensare di più anche ai disabili. Ora sto lottando per prendere un pulmino che li possa trasportare, anche per portarli in discoteca e non solo dal medico. Nessuno ci pensa, ma anche loro hanno il diritto di passare una serata tra la musica, no? Non è di certo facile, visto i costi di una pedana caricatrice si aggirano sui 7000 euro e un pulmino sotto i 2500 euro non si trova. Poi voglio trovare un pulmino più grande per portare i ragazzi. Ora sto unendo gli sforzi con altri “volontari”, si può dire che un po’ sto aiutando anche loro (sorride). Sono tre, quattro papà disoccupati, tutti cinquantenni e quindi fuori età massima per poter sperare di essere assunti da qualche parte. Inoltre sono papà divorziati e anch’io ci sono passato. Il divorzio, i figli di separati, tutto un insieme di cose che piano piano si accumula e diventa pesante”.

I giovani d’oggi, invece, come li vede? Si confidano con lei mentre li porta a casa? Che rapporto ha con loro?

“È un po’ come avere centinaia di figli, ormai. I primi che trasportavo ora sono cresciuti, hanno preso la patente. I ragazzi sono cambiati tanto. I primi erano educati, salutavano. Ora invece si ‘devastano’ con droghe e alcol e non ho capito bene il motivo. È brutto vederli così, ormai è diventato un disco rotto: l’unico divertimento per loro è diventato drogarsi e ubriacarsi. Per come li vedo io, per quello che mi raccontano, non è una generazione felice. Cerco di dire loro che la soluzione non è diventare dei ‘fattoni’, come dicono loro, perché stare così non ti toglie i problemi. Una soluzione potrebbe essere parlare coi genitori, anche se per questi ragazzi non è facile. Credo si debba iniziare dalla scuola, è quella che ti deve portare avanti. Anche la leva obbligatoria, io sarei favorevole, perché formava i ragazzi. A volte ho anche paura, il mondo della notte è diventato pericolosissimo. Nonostante tutto il primo problema che mi pongo è sistemare i miei ragazzi, addirittura andando a cercarli uno a uno, anche se sono le 5 o le 6 del mattino”.

Perché lo fa?

“Perché amo quello che faccio, anche se sono molto stanco di quello che vedo. Il mondo della notte è stancante, non hai orari, la tua famiglia non ti vede mai. Il mio mondo è dedicato al lavoro 24 ore su 24, sette giorni su sette, perché un disabile non smette di esserlo la domenica, o una signora anziana ha bisogno di te a orari fuori da quelli consueti. Ho comunque i miei pensieri, le bollette da pagare, i figli che non vedo mai, ma voglio affrontare tutto quello che viene con un sorriso, perché ogni giorno per me è un dono. Nella povertà passata e nella non ricchezza che sto affrontando ora, ogni giorno è un regalo e ogni persona che porto in giro, un insegnamento”.

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