di Marcello Celeghini
“Le critiche verso il Jobs Act si focalizzano soprattutto sulla facilità di licenziamento, come se in un matrimonio ci si concentrasse solo sul divorzio. Il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro è invece molto più complesso e multisfaccettato”. È con una metafora che il responsabile Economia della segreteria nazionale del Pd Filippo Taddei lancia la stoccata alle sigle sindacali che in questi mesi hanno tanto contestato il provvedimento sulle politiche del lavoro del Governo Renzi. L’occasione per un confronto tra le due posizioni c’è stata ieri pomeriggio con la conferenza dal titolo ‘Jobs Act, diritti in saldo?’ organizzata da Cgil alla Sala della Musica in San Paolo e a cui hanno partecipato, oltre a Taddei, anche il professor Franco Focareta di Unibo e il segretario nazionale di Fisac Cgil Agostino Megale.
La norma più contestata del cosiddetto Jobs Act è quella relativa al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che prevede l’acquisizione da parte del lavoratore dei diritti garantiti dall’art. 18 solo dopo step temporali che possono durare anche anni. Il provvedimento è entrato in vigore dal 1 marzo scorso e i sindacati, dati alla mano, contestano il fatto che la norma non abbia prodotto risultati positivi sull’occupazione ma abbia, invece, creato solo più precarietà tra i nuovi occupati a tempo indeterminato. Dall’altro lato il Governo, sempre dati alla mano, mostra come negli ultimi due mesi siano cresciuti sensibilmente i contratti a tempo indeterminato (+25 %) rispetto a tutti gli altri contratti precari.
“L’obiettivo del Jobs Act – spiega Filippo Taddei- è quello di incrementare l’uso del contratto a tempo indeterminato fino a farlo diventare una prassi nei contratti di lavoro su tutto il territorio nazionale. Prima d’ora in Italia la disparità dei diritti tra chi aveva un contratto a tempo indeterminato e chi invece aveva un lavoro precario era troppo grande. Il contratto indeterminato a tutele crescenti- continua il responsabile Economia della segreteria Pd- mira ad abbattere i contrati a tempo determinato in modo da fornire più tutele a chi prima ne era totalmente privo. Abbiamo insomma ampliato la platea dei diritti”.
“A non convincermi- ribatte Franco Focareta, docente Unibo di diritto del lavoro- è il substrato culturale su cui è stato pensato questo provvedimento. L’idea è quella che si possano creare più posti di lavoro rendendo il lavoro più flessibile. Questo era il pensiero che andava per la maggiore negli anni Novanta, oggi è stato superato, solo in Italia sembra trovare ancora terreno fertile. Il Jobs Act di Obama, ad esempio, è un intervento sulle imprese e non sui lavoratori. Per creare lavoro si deve guardare agli imprenditori non ai lavoratori che oggi sono immersi nella precarietà più totale”.
“Voto Pd, ma questa riforma è inaccettabile – rincara la dose Agostino Megale di Fisac Cgil – perché fa perdere prospettive e valori. Anche coloro che oggi avranno il contratto a tempo indeterminato grazie al Jobs Act non avranno più tra le mani un tempo indeterminato ma, bensì, qualcosa di indefinito. Il lavoro non si crea con decreti, ma con investimenti e provvedimenti che favoriscano la crescita e i consumi”.
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