I quattro agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi dovranno risarcire lo Stato, ma solo di un terzo (il 30% per l’esattezza) di quei 1.870.000 euro chiesti dalla procura contabile della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna.
Il collegio formato dai giudici Luigi Di Murro (presidente), Francesco Pagliara e Massimo Chirieleison ha stabilito anche risarcimenti diversi per i quattro poliziotti, a seconda della tempistica dell’intervento.
E così, anziché 467.000 euro a testa, Enzo Pontani e Luca Pollastri, l’equipaggio di Alfa 3, il primo a intervenire in via Ippodromo e quindi il primo a ingaggiare la violenta colluttazione con il diciottenne, dovranno risarcire 224.512,18 euro ciascuno. Monica Segatto e Paolo Forlani, l’equipaggio della seconda volante Alfa 2, giunta successivamente sul posto, sono chiamati invece a pagare 56.128,05 euro ciascuno. A questo la Corte ha aggiunto 1.778,34 euro di spese processuali.
La riduzione della somma di rivalsa (561.280,47 euro in totale, ripartiti nella misura dell’80% tra Pollastri e Pontani e il restante 20% tra Segatto e Forlani) arriva in seguito all’accoglimento di alcune circostanze “attenuanti”, sia dal punto di vista oggettivo (l’inadeguata organizzazione del servizio imputabile all’amministrazione del Ministero), sia soggettivo (gli ottimi precedenti di carriera, la forte tensione emotiva, il contesto operativo foriero di forte stress).
A far propendere i giudici per l’accoglimento della pretesa risarcitoria “a titolo di danno erariale e danno di immagine” per i quasi due milioni di euro pagati dal Viminale alle parti civili, è stata la conferma nelle sue valutazioni della “colpa grave” degli agenti.
Nelle 22 pagine della sentenza il collegio richiama infatti l’omissione consistita nella mancata richiesta di intervento del personale sanitario e nella “violenta colluttazione generata, in pregiudizio delle condizioni di salute del giovane Federico Aldrovandi, al fine di contrastare la resistenza con palese e manifesto eccesso dei limiti del legittimo intervento di polizia, accertato dalla incontestabile superiorità numerica, nelle ripetute e prolungate percosse con il ricorso all’uso di manganelli — due dei quali spezzati per l’abnormità dell’intervento — e nella prosecuzione della colluttazione anche dopo l’immobilizzazione a terra del giovane, collocato in posizione prona”.
A questo si aggiunge “l’omissione delle prime cure urgenti in favore e nell’interesse del giovane, nonostante la invocazione di aiuto proveniente dal medesimo con l’invito espresso a cessare dall’aggressione, e nella prosecuzione della colluttazione della vittima in posizione prona, la quale lo ha reso agonizzante per le difficoltà respiratorie”.
Tutte concause che hanno determinato il decesso del ragazzo, “per la insufficienza cardiaca conseguente al deficit di ossigenazione, discendente dagli sforzi per resistere alle percosse, e dalla posizione prona con i polsi ammanettati, che ha ulteriormente aggravato le difficoltà di respirazione”.