Cronaca
14 Novembre 2014
La procura di Bologna chiede di non concedere attenuanti generiche per la tentata estorsione all'imprenditore Varsallona

Sentenza Niagara, chieste pene più severe per gli ex Noe

di Redazione | 3 min

niagaraPotrebbe superare i tre anni di reclusione la pena del tribunale di appello di Bologna agli ex carabinieri del Noe e all’imprenditore implicati nel caso Niagara, dopo la riduzione di pena al primo grado di giudizio concessa per via delle attenuanti generiche. Attenuanti che secondo il pg Miranda Barbace, non hanno ragione di sussistere. Questo il senso della sua requisitoria davanti alla corte d’appello bolognese, durante la quale ha richiesto un aggravamento della pena a tre anni per Sergio Amatiello e Marco Varsallona (condannati a due anni in primo grado) e a tre anni e due mesi per Vito Tufariello (condannato a due anni e due mesi), che deve rispondere anche del reato di rivelazioni di atti d’ufficio.

La vicenda è quella del caso Niagara, che il 29 gennaio ha visto la condanna in primo grado per tentata estorsione di Amatiello e Tufariello, ex marescialli del Noe di Bologna, e dell’imprenditore Varsallona, legato ai due ufficiali da rapporti extraprofessionali. Amatiello e Tufariello avevano indotto Mauro Carretta, titolare dell’azienda Niagara attiva nello smaltimento rifiuti,  a promettere loro una somma di denaro tra i 20mila e i 40mila euro per “ammorbidire” le conclusioni di un’informativa da depositare in procura. Questo dopo le ispezioni avvenute nel febbraio del 2008. Varsallona aveva avanzato alla dipendente Fabiana Cosmar e allo stesso Carretta la necessità di pagare i militari del Noe per evitare quantomeno il sequestro dell’azienda e misure cautelari personali nei confronti dello stesso titolare e dei dipendenti. Una concussione in cui secondo i giudici del tribunale collegiale di Bologna i due militari si servirono di “un clima di terrore creato ad arte” e in cui indispensabile fu il ruolo di Varsallona, conoscente di Carretta a quali dava “consigli” fingendosi estraneo alla vicenda.

Varsallona e i due ex carabinieri furono condannati entrambi con il riconoscimento delle attenuanti generiche, “in considerazione – si leggeva nelle motivazioni – della complessiva condotta degli stessi, anche post-factum. Tale giudizio, oltre che sulla vita antefatta degli imputati, si fonda da un lato sulle modalità di commissione del reato: la minaccia esercitata sulle persone offese, pur avendo indiscutibile efficacia intimidatoria, è infatti esercitata in forma non violenta e sfumata, e la richiesta indebita è stata formulata in via mediata tramite l’estraneus, già conosciuto alle persone offese, ciò ha determinato senza dubbio un impatto meno forte sulle persone offese”. Attenuanti che, come premesso, potrebbero non venire riconosciute dalla corte di appello.

Una tesi sostenuta anche dagli avvocati delle parti lese, Eugenio Gallerani e Fabio Anselmo, che durante l’ultima udienza hanno sostenuto le tesi della procura per un inasprimento della pena per i due militari del Noe. Lo faceva presente anche lo stesso Anselmo nell’annunciare il ricorso in appello, quando alla redazione di Estense.com dichiarò che “la circostanza è tanto più grave se si tiene conto della pregressa conoscenza tra il Varsallona e le parti offese: ciò potrebbe apparire, ma solo a un’analisi superficiale, come una sorta di “suggerimento disinteressato” proprio per favorire i propri conoscenti a trovare una via d’uscita, o forse l’unica soluzione meno dolorosa per eventuali possibili ostacoli alla normale attività dell’azienda, mentre, in effetti, rappresenta un’ulteriore insidia e concreta pressione per gli stessi che non lascia adito a dubbi di sorta circa le reali intenzioni dei tre. Per non parlare, poi, del riferimento ai figli che, in un contesto intimidatorio, non può che insinuare particolare allarme nelle vittime per la valenza di minaccia con una notevole carica di violenza, più o meno larvata”.

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