Si è tenuta ieri davanti alla seconda sezione del Tribunale civile di Roma la prima udienza contro il ministero dello Sviluppo Economico al quale 13 risparmiatori coinvolti nella triste vicenda del crac Patrimonium chiedono un risarcimento complessivo di 4 milioni e 800 mila euro.
L’accusa è quella di non aver debitamente vigilato nei confronti del primo liquidatore della società Cofeur Patrimonum – che i fratelli Stefano e Valerio Melloni (il primo arrestato nel marzo scorso dopo una lunga latitanza) avevano portato al fallimento nel 1993 con debiti per circa 120 miliardi di lire nei confronti di 1700 investitori -, Lorenzo Zaccagnini, già condannato nel 2009 a nove anni di reclusione (pena poi ridotta in appello) per essersi intascato i beni della società che doveva custodire per coprire i propri debiti anziché pagare i creditori società. In quel processo il tribunale penale aveva chiamato a rispondere come responsabile civile per il mancato controllo dell’operato del suo funzionario anche il dicastero per l’industria, responsabile della sorveglianza sul suo operato, che venne condannato a pagare una provvisionale immediatamente esecutiva di 20 mila euro per ciascuna delle 50 parti civili. Sennonché il ministero decise di impugnare quella parte della sentenza trovando conferma nella Cassazione che nel 2012 affermò che il liquidatore non poteva essere inquadrato processualmente come un dipendente non esistendo un rapporto organico tra egli e la pubblica amministrazione. Per cui, affermava la Cassazione, l’ipotesi di risarcimento per fatto illecito sarebbe dovuta essere oggetto di un processo civile, prontamente avviato da 13 di quei 50 risparmiatori, difesi, ieri come oggi, dall’avvocato Carlo Emilio Esini.
Ma mentre il nuovo processo si è avviato con la costituzione delle parti (il ministero peraltro si è costituito tardivamente) davanti alla presidente di sezione Maria Rosaria Covelli e il rinvio per la discussione sulle prove al 23 e 25 marzo 2015, rimane in ballo un altro pezzo della vicenda Patrimonium: dopo la sentenza della Cassazione, infatti, il ministero aveva deciso di richiedere il risarcimento della provvisionale da 20mila euro ai risparmiatori truffati, intimando il pagamento dell’importo (più gli interessi) entro 30 giorni dalla notifica. L’avvocato Esini aveva cercato allora di trovare un accordo di transazione con il dicastero dello sviluppo economico in modo da rendere meno amara la beffa per i suoi assistiti, ricevendo risposta positiva seguita però da sei mesi di silenzio fino a che, pochi giorni fa, non sono riprese le notifiche per il risarcimento dei 20mila euro.
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