Cento
27 Marzo 2014
L'ex manager latitante è stato fermato a Ventimiglia dalla Polizia di frontiera

Crac Patrimonium, arrestato Stefano Melloni

di Redazione | 2 min

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melloniCento. È giunta al termine la latitanza di Stefano Melloni, protagonista nel 1993 insieme al fratello Valerio del crac Cofeur Patrimonium che portò la società a sprofondare in un debito da circa 120 miliardi di lire coinvolgendo 1700 risparmiatori. L’ex manger condannato a 10 anni (ridotti a 7 per via dell’indulto) per bancarotta fraudolenta è stato arrestato nei giorni scorsi a Ventimiglia dalla Polizia di frontiera mentre cercava di rientrare in Italia a bordo di un pullman.

Melloni viaggiava sotto falso nome e con documenti contraffatti quando il pullman sul quale viaggiava è stato oggetto di un controllo di routine da parte della Polizia di frontiera che ha così eseguito il mandato di arresto europeo (Mae) che pendeva sull’ex manager di Patrimonium dal 2008, anno in cui fece perdere le sue tracce dopo l’arresto in Spagna nei pressi di Malaga seguito dal rilascio dopo 40 giorni in attesa dell’estradizione e della risoluzione di un contenzioso aperto proprio sulla validità del Mae (risolta nel febbraio 2013 la Corte di Giustizia Ue che ha ne ha confermato la correttezza).

Secondo quanto ricostruito dalla magistratura i clienti della società venivano convinti a effettuare investimenti a tasso fisso, tecnica con la quale i Melloni si procuravano i soldi per speculazioni finanziarie ad alto rischio. La vicenda giudiziaria, che con l’arresto di Stefano Melloni dovrebbe aver trovato finalmente la sua fine, ha avuto anche un altro risvolto al sapore di beffa per i risparmiatori: nel dicembre 2013 infatti i clienti truffati hanno ricevuto una lettera dal ministero che intimava la restituzione di 20 mila euro ciascuno corrispondenti alla provvisionale assegnata loro da un giudice d’appello in acconto del risarcimento del danno provocato ai clienti della Sim emiliana dallo stesso ministero tramite gli atti del primo liquidatore Lorenzo Zaccagnini, condannato nel 2009 dal Tribunale di Milano a 9 anni di reclusione per essersi appropriato di alcuni beni della società in liquidazione. La Cassazione aveva infatti accolto il ricorso presentato dallo stesso ministero stabilendo che quest’ultimo,  pur essendo l’organo di vigilanza della liquidazione, “non era responsabile di ciò che aveva combinato un suo incaricato”.

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