L'inverno del nostro scontento
5 Aprile 2014

Come As You Are (quando te ne vai non puoi più tornare)

di Girolamo De Michele | 6 min

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Kurt_CobainL’ho capito tardi, Kurt Cobain. Per molti anni ne ho pensato e detto male: errori di cui bisogna scusarsi, e non è mai troppo tardi per farlo.
È che Kurt Cobain l’avevo conosciuto, e quello che avevo visto non m’era piaciuto. Era circondato (lui e i Nirvana) da individui rapaci convinti che il meglio, per loro, fosse tenere per le ali la gallina dalle uova d’oro finché durava, cioè poco: e già calcolavano, con il $ che gli ruotava negli occhi al posto delle pupille, quanto avrebbe fruttato la sua prossima morte, non importa se per overdose o altro. Se qualcuno ha buona memoria, ricorderà una sorta di scommessa itinerante tra chi se ne sarebbe andato per primo, tra Kurt e Eddie Vedder. Diciamo che l’avevo confuso, Kurt, con l’ambiente falso e bugiardo che lo accerchiava, e ne avevo frainteso la sincerità.
E dopo la sua morte, mi aveva infastidito il mito del quanto-è-bello-il-gettarsi-via che permeava i suoi fan, e lo trasformava in una sorta di falso profeta del culto alcolico della fattanza: cose che capitano, se diventi padre e insegnante più o meno negli stessi anni. Di nuovo, confondevo Kurt, quel che era davvero, con quello che gli altri avevano voluto che fosse: scambiavo le sue parole con le parole su di lui.
Non ho avuto la sensibilità di Neil Young, allora. Senza rendermene conto, con lui trasgredivo uno dei miei principi: non giudicare, se non vuoi essere giudicato. Non fare della ragione un piccolo, miserabile tribunale con cui consolarti a forza di sentenze.

Kurt Cobain l’ho capito anni dopo, grazie a una generazione di fan che in lui vede l’essere umano, non il “martire”. E soprattutto, grazie a uno studente e a un libro.

Lo studente era un piacentino che, al termine del suo (ottimo) percorso d’esame, chiese con molto rispetto di poter aggiungere ancora qualcosa: un confronto tra Kurt Cobain e Cesare Pavese. Pur di poter parlare del suo cantante preferito, aveva aggiunto un altro autore al percorso (ci aveva già parlato di Freud, Darwin, Pirandello, Svevo, Wordsworth, dell’entropia, del nazismo): e con un confronto tra testi paralleli – una poesia (Verrà la morte e avrà i tuoi occhi) e una canzone (Heart-Shaped Box – per ascoltarla clicca → qui), una pagina di diario dell’uno e dell’altro, i biglietti d’addio dei due poeti suicidi – mi fece capire per la prima volta che dentro quel giovane cantante bruciava lo stesso male di vivere, lo stesso vizio assurdo che aveva consumato uno dei nostri più grandi scrittori.

Il libro è A volte ritorno di John Niven, nel quale, con molta ironia, sono narrate le vicende di Gesù costretto dal Padre a tornare in terra per rimettere le cose a posto. Come può Gesù lanciare un messaggio a tutta l’umanità, nell’era della televisione? Partecipando alla versione americana di X Factor (Gesù sa suonare: la prima volta che compare nel romanzo, sta prendendo lezioni di chitarra da Jimi Hendrix). E cos’altro potrebbe cantare, se non Come As You Are?
Come as you are, as you were, as I want you to be. As a friend, as a friend, as an old enemy…

Come As You Are è la mia canzone preferita dei Nirvana. È una disperata preghiera verso qualcuno che dovrebbe, o forse potrebbe, arrivare, e chissà se arriverà – probabilmente no: “Mi hanno detto: sei scoppiato / come ti sei rovinato / dimagrito, sembri quasi uno zombie / Sarà colpa delle notti / che ho passato ad aspettare / cose che forse dovevano arrivare / Ma non è una malattia…“, canticchiavo spesso in altri anni… Come As You Are è il grido di dolore di chi ha scoperto che invece la vita è una malattia: il male di una “vittima non innocente di una guerra chiamata vita”, diceva lo studente piacentino. Gesù che canta Come As You Are è un colpo di genio letterario: il destinatario della preghiera diventa l’autore del messaggio, diventa il dolore di cui canta la canzone.
Attenzione: non sto dicendo che la soluzione del male di vivere di Kurt fosse nella fede religiosa. Noi non sappiamo a chi Kurt rivolgeva la sua invocazione: sappiamo solo che non è arrivato (come la telefonata di Neil Young, che pochi giorni prima del suicidio cercò Kurt senza esito), o se è arrivato non è riuscito a salvarlo: il biglietto di addio di Kurt era destinato a Boddah, il suo amico d’infanzia immaginario. Kurt ci ha raccontato, con la sua voce scartavetrante e i suoi versi essenziali come chiodi su un’asse di legno, che la vita è qualcosa contro cui da solo non ce la puoi fare, in culo agli ego ipertrofici che si credono Superman senza essere neanche Fonzie di cui il mondo è pieno.

Anni dopo ho scoperto uno scrittore con la bandana e le camicie a quadrettoni, David Foster Wallace: che ha condiviso con Kurt le stesse sofferenze, e purtroppo anche la stessa fine. Ripensandoci adesso, mi sembra che DFW e Kurt avessero lo stesso messaggio da mettere in una bottiglia. DFW è una droga che dà dipendenza, una lettura da cui non riesco a staccarmi: anche lui lo devo a una studentessa, che incrociandomi in atrio mi mostrò un suo testo e mi disse: questo è il libro che deve leggere, prof! E forse qualcosa c’entra anche Kurt Cobain, in questa passione letteraria.

Come tutti sanno, Kurt se n’è andato con un verso di Neil Young: It’s better to burn out than fade away (“meglio bruciarsi che spegnersi poco a poco”). Da allora Neil Young, ogni volta che canta My My, Hey Hey (puoi ascoltarla cliccando → qui) , scandisce un altro verso, perché si capisca che è una dedica: Once you’re gone you can’t come back» (“una volta che sei andato via non puoi più tornare indietro”). Neil è uno che ha attraversato il tunnel buio della depressione e del dolore per uscirne vivo: non giudica gli altri, non si reputa migliore. Cerca di comprendere. Continua a usare voce e chitarra come armi per combattere quella guerra che è la vita, per un mondo migliore, o almeno un po’ meno dark and stupid. Di vecchi saggi come Neil Young abbiamo un disperato bisogno: perché nulla può colmare il vuoto lasciato da angeli ribelli come Kurt Cobain.
The King Is Gone But He’s Not Forgotten.

Kurt_Cobain2Vieni come sei (Come As You Are, traduzione libera – cliccando → qui l’esecuzione al Kryptonight di Baricella, il 20 novembre 1991)

Vieni come sei, com’eri
come vorrei che fossi
vieni da amico, come un amico
vieni come un vecchio nemico
fai con calma o vieni di corsa
è tua la scelta
non fare tardi
prenditi il tuo tempo
vieni da amico
vieni come un vecchio ricordo
ricordo ricordo ricordo
vieni infangato o candeggiato
come vorrei che fossi
come una moda
come un amico
come un vecchio ricordo
ricordo ricordo ricordo
e ti giuro, non ho una pistola, non ce l’ho
ti aspetto in pace, davvero.

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