L'inverno del nostro scontento
10 Aprile 2024

Non possiamo accettare di essere la scorta mediatica di un genocidio in atto

di Girolamo De Michele | 4 min

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Ho un blog da 10 anni (sarebbero 11, ma l’ho tenuto fermo un anno), cioè un organo di comunicazione e informazione: il che comporta responsabilità.
Ho un evidente privilegio: sono il responsabile unico di cosa pubblicare, di come comunicarlo, della cadenza periodica. Non devo rendere conto né alla testata che mi ospita, né ad altri.
A questo privilegio corrisponde il fatto di avere in toto, senza condividerla o suddividerla, la responsabilità etica dei contenuti del blog.

Mi guardo intorno. A sud di quel nostro ombellico che crediamo essere il centro del mondo è in corso un genocidio. Non è importante che sia a sud, piuttosto che a nord o est: è un luogo dove vengono violati quei principi che chiamiamo diritti umani, e praticati quei crimini internazionali che chiamiamo crimini di guerra, crimini contro la pace, crimini contro l’umanità. Dove vige un regime di Apartheid ed è in atto il genocidio di un popolo, nell’indifferente fastidio di una parte non piccola di persone che per il solo fatto di essere erecti si credono sapientes.
Di questo disinteresse sono parte attiva i grandi organi d’informazione, cartacei o virtuali. Ci sono giorni in cui il numero quotidiano delle vittime civili si ferma sotto le tre cifre, e la notizia non arriva sulle prime pagine (ma neanche le quinte o le dodicesime): perché siano “giornate di sangue” è necessario che a morire siano occidentali, come nel caso dell’uccisione mirata di 7 operatorə di World Central Kitchen.
E ci sono notizie che non arrivano, se non deformate dalle veline di corrispondenti embedded – a fronte, va detto, di coraggiosə e professionali giornalistə che si impegnano ad informare; ad esempio:

L’ospedale al Shifa, il più grande e importante dell’intera Striscia di Gaza, non esiste più. Non esistono più le ventisei camere operatorie, i 750 letti di degenza, la terapia intensiva e il centro dialisi. Bruciato da terra a cielo, come mostrano le foto e i video che riempiono i social network, e come mostrano i video che Al Jazeera trasmette dal primo aprile, da quando – cioè – le forze armate israeliane si sono ritirate dopo due settimane di accerchiamento e occupazione dell’ospedale che già a novembre, peraltro, avevano sottoposto a un primo assedio [Paola Caridi, La questione umanitaria a Gaza è una questione politica, qui].

Lo avevate saputo? Probabilmente no.
Un medico israeliano in servizio al Sde Teiman Detention Center, dove sono reclusi i gazawi arrrestati ha denunciato condizioni di detenzioni che violano le leggi israeliane e i principi umanitari, oltreché i principi etici della professione medica [Doctor at Israeli Field Hospital for Detained Gazans: ‘We Are All Complicit in Breaking the Law’, su Haaretz, qui]; ad esempio, amputazioni causate dalle modalità e dalla durata dell’ammanettamento cui sono costretti i detenuti:

“Just this week, two prisoners had their legs amputated due to handcuff injuries, which unfortunately is a routine event,” the physician said in the letter. He said inmates are fed through straws, defecate in diapers, and are held constant restraints, which violate medical ethics and the law.

Ad esempio, la negazione di cure basilari, che arriva a causare la morte dei pazienti:

In his letter, the doctor asserted that detainees don’t receive appropriate care, even when they are moved to a hospital: “No patient who was referred to a hospital has remained there for more than a few hours. It happens that patients after major operations, such as abdominal surgeries for intestinal resections, are brought back after about an hour of post-op observation during recovery to the Sde Teiman medical facility, which is staffed most of the day by a single doctor, accompanied by a nursing team, some with no more than medic training.” He said that in some cases that single doctor is an orthopedist or gynecologist. “This ends in complications and sometimes even in the patient’s death,” the doctor wrote.

Lo avevate saputo? Probabilmente no.
Un giornalista di Repubblica ha scritto [qui]:

Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi.

Tacere sul genocidio in atto – il primo genocidio della storia che avviene in diretta mediatica, sotto l’occhio della pubblica opinione globale – significa acconsentire; significa accettare, volente o nolente (la differenza andate a spiegarla alle vittime dei bombardamenti al fosforo bianco) il ruolo di scorta mediatica del genocidio.

Questo blog pubblicherà testi, miei o altrui, con la frequenza che riterrà necessaria, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul genocidio e sui crimini di guerra e contro l’umanità in atto a Gaza e in Cisgiordania. Non è detto che pubblicando testi altrui io ne condivida tutto il contenuto, o la modalità comunicativa: ma se servono a svegliare anche unə solə dormiente, ne sarà valsa la pena.
Se la cosa non garba, andate a leggere altrove.

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