31 Agosto 2013
Una meta-analisi condotta su 19 studi rileva, applicando criteri restrittivi, l'assenza di correlazione fra Sm e Ccsvi

Nuovi dubbi sulle teorie di Zamboni

di Redazione | 3 min

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di Daniele Oppo

admin-ajax (1)Arrivano nuovi dubbi sulla correlazione fra Ccsvi (insufficienza venosa cronica cerebrospinale) e sclerosi multipla descritta per la prima volta dal chirurgo e professore dell’Università di Ferrara Paolo Zamboni nel 2008 e nel 2009. Una meta-analisi condotta dai ricercatori dell’Università di Atene e dell’Università della Ruhr di Bochum, pubblicata il 21 agosto sulla rivista Therapeutic advances in neurological disorders con il titolo “Chronic cerebrospinal venous insufficiency and multiple sclerosis: a comprehensive meta-analysis of case-control studies”, evidenzia alcuni punti di criticità nella correlazione fra Ccsvi e sclerosi multipla.

I ricercatori hanno analizzato 19 diversi studi retrospettivi caso-controllo riportanti diagnosi di Ccsvi in pazienti affetti da sclerosi multipla e pazienti sani -coinvolgenti in totale 1250 malati e 899 sani- scelti fra gli studi pubblicati fra gennaio 2006 e giugno 2012 su diversi database (Medline, Embase, il Central Register of Controlled Trials e il database delle revisioni sistematiche della Cochrane collaboration) in base alle specifiche linee guida Prisma (Preferred reporting items for systematic reviews and meta-analyses).

I risultati complessivi, elaborati dal neurologo e primo autore dell’analisi Georgios Tsivgoulis e collaboratori, suggeriscono l’esistenza di un rapporto causa-effetto (odds ratio) fra Ccsvi e sclerosi multipla [odds ratio (OR) 8.35, intervallo di confidenza 95% (CI) 3,44-20,31; p <0.001)]: la ccsvi sarebbe 8 volte più frequente nei pazienti con sclerosi multipla rispetto a quelli sani appartenenti al gruppo di controllo, ma rilevano anche una notevole e inspiegata eterogeneità fra i risultati dei diversi studi presi in considerazione (l2=80,1%).

La meta analisi si è perciò spinta oltre conducendo quattro differenti analisi di sensitività escludendo in due di queste –le più conservatrici- gli studi provenienti dai gruppi di ricerca che per primi hanno descritto la Ccsvi -incluse le pubblicazioni sostenenti le procedure endovascolari come metodo per curare la Ccsvi- e quelli condotti in Italia. Unendo i risultati di queste ultime due analisi non solo si è ridotta sensibilmente, fino a poter essere considerata irrilevante, l’eterogeneità dei vari risultati [l2=0%] ma anche il rapporto causa-effetto non rileva più alcuna forte associazione fra Ccsvi e sclerosi multipla [OR 1.35; 95% CI 0.62–2.93; p = 0.453]. Da qui le conclusioni degli autori che sottolineano come i risultati positivi nella correlazione fra le due patologie possano essere dovuti al coinvolgimento dei ricercatori negli studi a supporto della procedura endovascolare messa a punto da Zamboni come nuovo metodo per trattare la sclerosi multipla -suggerendo anche la possibile presenza di un bias (ovvero un pregiudizio che distorce la valutazione) oppure di un conflitto di interessi come spiegazione dell’eterogeneità nei risultati- e rilevano come procedure invasive di intervento dovrebbero essere scoraggiate se non all’interno di studi clinici randomizzati in quanto potenzialmente dannose per i pazienti. A questo proposito è però utile ricordare come uno studio del professor Tommaso Lupatelli abbia rilevato la sostanziale sicurezza dell’intervento endovascolare, soprattutto quando preceduta da un adeguata curva di apprendimento in grado di ridurre drasticamente gli eventi avversi (leggi l’articolo).

Infine, Tsivgoulis e collaboratori criticano apertamente alcuni risultati ottenuti dallo stesso Zamboni in una recente meta-analisi condotta insieme a Sandra Morovic (“CCSVI is associated with multiple sclerosis”) dalla quale si rileverebbe la correlazione fra Ccsvi e sclerosi multipla: secondo i ricercatori gli studi presi in considerazione sarebbero stati analizzati in maniera erronea e, soprattutto, il professore Unife e Morovic non avrebbero considerato alcuno studio (come uno dello stesso Tsivgoulis del 2011) nei quali non è stata rilevata alcuna correlazione fra le due patologie.

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