Politica
16 Giugno 2013
L'ex ministro punta sulla conoscenza diffusa nel partito e critica l'idea dell'uomo forte al comando

Barca: “sono un destabilizzatore, ma non miro alla segreteria”

di Redazione | 3 min

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2013-06-15-1356di Daniele Oppo

“Tutto quello che vado dicendo nei miei incontri ha a che fare con una parola: conoscenza”. Esordisce così, -davanti a più di cento spettatori riunitisi al centro sociale Acquedotto- Fabrizio Barca, economista, ex ministro del Governo Monti, con una storia nella Banca d’Italia e al Tesoro, dall’11 aprile del 2013 iscritto al Pd e che da allora è in giro per l’Italia a fare incontri e riunioni nei circoli territoriali del partito per discutere di una nuova idea di partito.

“Io sono un destabilizzatore”, sostiene Barca, “ma non mi interessa diventare segretario del partito, voglio che si discuta, vorrei che si creasse del conflitto, non fra persone ma fra idee e visioni diverse, perché è solo così che poi un’idea diventa egemone e dà una linea al partito”. Proprio l’assenza di quest’ultima su tanti temi “la scuola, ad esempio, o la difesa”, è il punto nodale della critica di Barca al Pd che per questo “assomiglia a un partito ma non lo è”.

La conoscenza diventa così l’argomento chiave per l’ex ministro, ma non quella di pochi, “il più grande errore della sinistra italiana è quello di essersi fatta egemonizzare per 20 anni da un’idea esterna, che non le appartiene, quella che nel nostro Paese non si riesca a governare perché manca un uomo forte, che ci voglia il Sindaco d’Italia per farlo. Questa è una visione che sarebbe vera se il sapere fosse concentrato in poche persone –afferma ancora Barca- sarebbe vero se governare significasse eleggere Cesare, ma è un idea totalmente sbagliata, in contraddizione con in processi cognitivi dell’epoca moderna dove la conoscenza si è diffusa”. Ecco allora che arriva l’idea dell’economista per il nuovo partito, quello della “mobilitazione cognitiva”, un partito “dove si deve faticare, dove si discutano le idee, uno strumento della società col quale stare addosso al Governo e agli eletti dai quali è separato”.

2013-06-15-1353Il contrario di ciò che avviene oggi nel suo schieramento dove “convivono idee iper-liberiste con le idee ‘iper-sindacali’ senza che nessuno prenda una netta posizione e senza che dunque si formi una linea”. Due le motivazioni per cambiare strada: quella del “partito-palestra, in cui le persone possano apprendere e i giovani formarsi e imparare un mestiere e al quale possano dedicare la propria intelligenza”; ma anche, se non soprattutto, quella legata ai valori: “ne abbiamo bisogno per avere una più chiara e secca identità, senza di essi non possiamo avere una visione”. Ecco allora giungere le cinque parole chiave contenute nell’ “addendum” al suo documento programmatico: “merito, che è una parola liberale ma anche socialista; concorrenza; lavoro, giustizia e persona”.

Proposte, quelle dell’ex ministro del Governo Monti, che egli stesso “spera” di vedere contrastate e discusse: “litighiamo, confrontiamoci, una volta finito sarà automatico scoprire quale partito serva”. Gli applausi finali sono tanti e convinti.

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