Cronaca
14 Aprile 2013
Le motivazioni della sentenza rivoluzionaria del tribunale di Ferrara

Coltivare marijuana non è reato

di Marco Zavagli | 5 min

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admin-ajax.php_39Coltivare marijuana per uso personale non è reato. E il bello è che lo dice la stessa legge che la vieta, la tanto vituperata “Fini-Giovanardi”. Già Estense.com aveva dato in esclusiva la notizia della storica decisione emessa dal tribunale di Ferrara lo scorso 20 marzo (vai all’articolo). Ora però, alla luce delle motivazioni della sentenza, la non punibilità della coltivazione della pianta assume contorni giuridici che cambieranno centinaia di processi in tutta Italia.

Il caso di specie vedeva due giovani a processo dopo che i carabinieri trovarono nella loro abitazione quattro piantine di marijuana (di altezza tra i 40 e i 60 cm), materiale vario per la relativa coltivazione (due piccolo box, una lampada, dei fertilizzanti ecc.) e due barattoli di vetro con all’interno marijuana già pronta per l’utilizzo (circa 9 grammi).

In sede di assoluzione poteva sembrare che il giudice Franco Attinà avesse accolto le motivazioni contenute nell’arringa della difesa dei due imputati, l’avvocato Alberto Zaina del foro di Rimini. Zaina, avvocato anche dell’Aduc, sosteneva che l’articolo 73 della legge che disciplina la materia, il dpr 309 del 1990, poteva essere “sospettato di anticostituzionalità nel momento in cui equipara inopinatamente derivati della cannabis, oppiacei e cocaina”. E a favore di questa ipotesi aveva citato una normativa del Consiglio d’Europa che dice in astratto che “non si possono equiparare droghe pesanti e droghe leggere. Urge insomma una differenziazione”. Identica questione di legittimità costituzionale è già stata sollevata  dalla Corte d’Appello di Roma e sarà presto al vaglio della Corte Costituzionale. A questo punto il difensore aveva chiesto la remissione degli atti alla Corte Costituzionale e, in subordine, l’assoluzione per mancanza dell’elemento psicologico del reato. Il pm invece aveva chiesto un anno di condanna e 3mila euro di multa per entrambi.

Niente di tutto questo. Il giudice Attinà ha assolto gli imputati “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. È per questo che della sentenza 536 del 2013 del tribunale di Ferrara si sentirà parlare a lungo.

Nelle quattro pagine di motivazioni il giudice ricorda come la “sostanza di proprietà dei due imputati fosse impiegata per uso personale”. E questo perché “hanno provato a coltivare le piante in proprio perché stanchi di doversi procurare per strada lo stupefacente, con i rischi connessi e con l’inconveniente di alimentare i traffici della malavita”. Non c’era insomma dietro a quell’attività alcuna necessità economica che motivasse la volontà di vendere il ‘raccolto’, tanto che anche il pm non ha contestato la detenzione ai fini di spaccio ma solo la coltivazione. “Per queste ragioni è verosimile che anche l’eventuale produzione derivante dalle piantine sarebbe stata destinata ad uso personale”.

Il giudice al riguardo non ritiene condivisibile l’orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite della Cassazione (il numero 28605 del 2008, rv 239920) per il quale la coltivazione sarebbe sempre penalmente rilevante a prescindere dall’uso cui è destinato.

Le argomentazioni – e qui c’è un altro passaggio ‘rivoluzionario’ che porta all’interno dell’astrattezza giuridica la concretezza di quello che avviene nella vita di tutti i giorni -, pur astrattamente condivisibili, “non paiono aderenti alla realtà che nei palazzi di giustizia si sperimenta quotidianamente. Le quantità di stupefacenti in circolazione nella società italiana sono enormi, sicché quattro piantine coltivate in un appartamento da due giovani non possono aumentare in misura apprezzabile tale quantità. Anzi, l’assuntore abituale di stupefacenti – ove si rivolga ai traffici di strada per soddisfare il proprio bisogno – determina un aumento della domanda complessiva e quindi della quantità di sostanza che circola nella collettività”, evitando “di contribuire all’incremento dei traffici legati alla criminalità”.

Quanto alla legge contro gli stupefacenti, il dpr 309 del 1990, la cosiddetta legge “Fini-Giovanardi”, l’art. 73 con l’espressione “coltivazione” sembra designare “un’attività che non presenti certe caratteristiche dimensionali minime e non si attaglia agevolmente alla fattispecie di quattro piantine cresciute in vaso al’interno di un appartamento”.

Secondo Attinà “una interpretazione restrittiva del termine “coltivazione” appare poi necessaria alla luce del principio di offensività del reato: una volta che si individui il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice nella salute pubblica, nell’ordine pubblico e nella sicurezza pubblica, non si può ritenere che soddisfi il requisito di tipicità una condotta che per il numero delle piante, il luogo di detenzione (chiuso e inaccessibile a terzi), la destinazione al consumo personale è del tutto inidonea ad offendere anche solo in termine di pericolo quei beni”. Il giudice in questo senso fa riferimento alla sezione 4 della Cassazione, con l’orientamento numero 4 del 2011, rv. 250721).

Infine un altro elemento viene a confermare la liceità del comportamento dei due giovani: “la coltivazione deve avere ad oggetto sostanze stupefacenti e tale caratteristica non si può desumere dalla semplice tipologia di specie di pianta botanica”. Perché il reato sussista è necessario che “le piante presentino una quantità di principio attivo sufficiente ad esplicare un’efficacia drogante. Nel caso di specie nessun accertamento è stato fatto”.

Alla luce di questo è peraltro “irrilevante – secondo il giudice – la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa”. Come ultimo atto il giudice dispone la confisca e la distruzione della piante e dello stupefacente e degli altri oggetti sequestrati che riportino tracce di stupefacente.

Una sentenza che farà discutere, quindi. E il primo a mettere i cosiddetti ‘puntini sulle i” è proprio il legale che ha ottenuto l’assoluzione. “La sentenza riporta un dato errato – è il commento dell’avvocato Zaina – che risulta fuorviante. In realtà la difesa ha chiesto l’assoluzione dei due imputati dovendosi ravvisare l’uso personale (e non l’elemento psicologico). L’eccezione di costituzionalità era un’ipotesi meramente subordinata e, comunque, riconoscendo l’uso personale il giudice aderisce alla prospettazione difensiva che richiamava sincronicamente la tesi dell’uso personale della coltivazione che è ammessa in Europa”.

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