Cronaca
30 Gennaio 2013
Il tribunale di sorveglianza ha rigettato la richiesta di pena alternativa

Aldrovandi, gli agenti finiscono in carcere

di Marco Zavagli | 3 min

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adminIl tribunale di sorveglianza di Bologna ha sciolto la riserva. Tre dei quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi sconteranno in carcere i sei mesi di pena residuo dei tre anni e mezzo confermati dalla Cassazione per la morte del diciottenne avvenuta in via Ippodromo a Ferrara il 25 settembre 2005.

Per il quarto poliziotto, Enzo Pontani, si attende l’udienza del 26 febbraio, dopo il rinvio per difetto di notifica del 22 gennaio. Il tribunale presieduto dal giudice Francesco Maisto ha così rigettato la domanda di affidamento ai servizi socialmente utili (o, in subordine, i domiciliari) avanzata dalle difese di Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto, accogliendo invece la richiesta di detenzione carceraria avanzata dal procuratore generale Mirella Bambace.

Una sentenza non scontata quella del tribunale felsineo. “Dal 1975 ad oggi – ricordava prima di conoscere l’esito dell’udienza l’avvocato Gabriele Bordoni, difensore di Forlani – non si è mai registrato un caso di arresto per un delitto colposo”.

A influire sulla decisione del tribunale avrebbero giocato una parte non secondaria le motivazioni delle sentenze dei tre tribunali chiamati a giudicare il comportamento degli agenti. Sia quello compiuto al momento dei fatti (il procuratore generale della IV sezione della Cassazione, Gabriele Mazzotta, parlò di “schegge impazzite” per definire gli imputati, che agirono con un “uso eccessivo della forza nei confronti di una persona inerme”, anziché comportarsi come “responsabili rappresentanti delle forze dell’ordine”), sia quello posto in essere successivamente, che non vide mai segni di pentimento o di scuse nei confronti della famiglia. Eccezion fatta per Paolo Forlani che dopo aver aggravato la propria posizione offendendo su facebook la madre, chiese pubblicamente scusa a Patrizia Moretti.

Ora si attendono i provvedimenti disciplinari che la Polizia di Stato dovrebbe decidere per i suoi agenti. Le sanzioni amministrative previste in caso di condanna per reato colposo prevedono – in base al decreto del Presidente della Repubblica 737 del 1981, recante le Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza – la sospensione dal servizio, che consiste nell’allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile.

Si può arrivare alla destituzione, ossia alla cancellazione dai ruoli dell’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, se la condotta oggetto del provvedimento abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio.

È quello che si augura Lino Aldrovandi, che non riesce a definirsi “felice” per questa notizia”, anche se “è quantomeno un segnale verso il cielo. Federico non tornerà, ma chi lo ha ucciso pagherà quaggiù per quello che ha fatto. Davanti a me rimangono le immagini del suo corpo martoriato e delle sue urla di aiuto, quei “basta!” rimasti inascoltati”.

“Oggi è stato dato un segnale di speranza – aggiunge l’avvocato della famiglia, Fabio Anselmo -anche a chi sta portando avanti identiche battaglie, come Ilaria Cucchi, Lucia Uva e Domenica Ferrulli; una speranza che la giustizia sia uguale per tutti”.

“È la condanna massima che il tribunale di sorveglianza poteva esprimere e l’ha espressa – commenta la madre, Patrizia Moretti -. Una decisione che acquista un alto valore simbolico, non tanto per il carcere in sé, ma per chi vi è condotto. Premesso che chi uccide una persona merita di entrare in una cella, questo verdetto si allinea a una condanna sociale. Spero che sia il preludio alla loro radiazione dalla polizia. Le forze dell’ordine non devono ammettere né tollerare forme di violenza verso le persone. Questa è la condizione necessaria perché quello accaduto a Federico e ad altri come lui non accada mai più”.

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