Cronaca
27 Maggio 2012
Reportage dello scrittore Lorenzo Mazzoni per Estense.com

Quotidianità di un sisma

di Redazione | 4 min

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di Lorenzo Mazzoni

fotografie di Matilde Morselli

 

Sabato mattina alle 7 e 30, il centro di San Carlo è deserto. Si incrociano solo vigili del fuoco davanti alle abitazioni che da venerdì sera sono state evacuate per il rischio-vuoto e per l’innalzamento della sabbia liquefatta che ha invaso i piani terra delle case.

La piazza è il punto di raccordo delle forze dell’ordine. La piazza è il cuore, a tratti pulsante, del quartiere fantasma della sabbia nera.

Agli sfollati, che hanno recuperato in fretta e furia l’indispensabile dalle proprie abitazioni, è stato garantito un posto-letto a Casumaro, ma molti, prima spontaneamente, e poi con l’avvallo delle istituzioni, hanno preferito allestire una tendopoli nel campo sportivo di San Carlo, non troppo distante dalla zona rossa.

In piazza Sandro Pertini, a Sant’Agostino, le persone davanti al bar osservano la facciata crollata del municipio chiacchierando e commentando le notizie dei giornali. Un uomo seduto su uno sgabello aspetta, pazientemente, con la  telecamera fissata sul treppiede, che il pesante lampadario che pende nella vasta sala sventrata cada. Che l’intera struttura crolli. L’occhio della telecamera aspetta lo scoop.

Nella parte nuova della piazza, dove gli edifici non hanno subito danni, persone appoggiate alla ringhiera dei balconi del terzo piano guardano la vita sottostante. Davanti al furgoncino mobile delle Poste due donne attendono di pagare i propri bollettini. Dei bambini giocano sotto i portici.

Al PalaReno c’è una distesa semivuota di brandine. Molti sono al lavoro. Qualche ospite lava il pavimento. I bambini, una cinquantina, sono impegnati nelle attività creative organizzate dal personale del campo. Ci viene detto che è il primo di tre turni in cui i piccoli possono ritrovarsi e svagarsi nonostante la situazione di disagio. L’esercito ha montato una tenda nel cortile che garantirà anche i giochi all’esterno.

L’infermeria è attiva, è stata predisposta una stanza per anziani con qualche problema di salute, quelli che non è stato necessario trasferire in qualche ospedale. La convivenza tra le varie comunità è tranquilla. C’è una moschea improvvisata, il servizio di catering fornisce pasti diversi a seconda delle convinzioni religiose degli ospiti. Le donazioni dei privati sono tante.

Nella chiesa di San Martino, a Buonacompra, succede qualcosa di bizzarro. Le campane suonano. Il campanile è spezzato in tre tronconi. C’è il rischio evidente che possa crollare da un momento all’altro, ma ogni ora, con il pezzo forte a mezzogiorno, lo scampanellio si diffonde per la campagna circostante a questo paesello di ottocento anime. Il parroco assicura che non si tratta certo delle due campane da dieci quintali l’una che troneggiano dall’alto della torre pericolante, ma di semplici campane elettriche. Non ne capisco nulla di architettura, onde sonore e cose simili, però credo che una semplice vibrazione possa essere molto pericolosa, e non so se sia proprio una buona idea l’ostinarsi a far suonare quelle campane. Elettroniche, certo.

Tra la popolazione riunita in una struttura in legno che ospita nei momenti della vita quotidiana il comitato della Sagra della Salama da Sugo, tipica di Buonacompra, c’è rabbia per i ritardi con cui si stanno portando avanti le procedure di abbattimento del campanile.

Qualcuno sospetta che “Dall’alto” stiano aspettando una nuova scossa di terremoto che abbatta tutto, così da evitare costosi preventivi per aziende demolitrici. Qualcuno fra gli abitanti delle case agibili, ma evacuate poiché si trovano di fronte alla chiesa, profetizza tristemente: “Non è caduta con il terremoto, la schiaccerà il campanile”.

Ma al di là dei danni, più evidenti visivamente, a chiese e monumenti, è un intero tessuto lavorativo ed economico ad aver subito le ferite più gravi da questo sisma.

La zona artigianale e delle industrie tra Sant’Agostino e Roversetto è stata duramente colpita. Oltre alle “celebri” Ceramiche Sant’Agostino, un’intera rete di artigiani e piccoli artigiani è completamente in ginocchio. Alla Samo, una ditta che fabbrica protezione di macchinari edili, gli operai con caschetto giallo stanno traslocando le apparecchiature su camion che le trasporteranno verso un nuovo capannone preso in affitto dalle parti di Cento. Gli impianti fieristici Saielli sono completamente inagibili. Una tenda montata davanti all’ingresso. Tutto chiuso, i dipendenti a casa, senza lavoro. La vetreria Balboni, nonostante il rincuorante cartello “Ci siamo”, in realtà è un ammasso di detriti e  schegge di vetro. I macchinari distrutti. Anche qui tutto chiuso e i dipendenti a casa, senza lavoro.

Il tormentone del momento “Voi siete emiliani, saprete fare a reagire”, suona un po’ come una presa in giro da queste parti. Sembra un modo carino per dire “Arrangiatevi”. Gli artigiani ci hanno messo trent’anni a costruire le proprie aziende, il terremoto in venti secondi ha portato annientamento, disoccupazione e lutto. Ieri si sono svolti i funerali di uno degli operai morti sul lavoro. Da parte delle istituzioni non gli è stato dedicato nemmeno mezzo minuto di silenzio. È una cosa che fa male dentro.

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