Politica
31 Marzo 2012
La replica: “Gestione privatistica di un partito degna del miglior Berlusconismo”

La diffida di Grillo raggiunge anche Cento

di Redazione | 2 min

Cento. La lettera di diffida dell’avvocato di Beppe Grillo tocca anche il Movimento 5 Stelle. Stessa lettera, stessa firma, stesso concetto: vietato l’uso di nome e simbolo di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle per la loro attività politica.

Dopo Valentino Tavolazzi la raccomandata, questa volta preceduta da una e-mail, arriva anche ai grillini centesi, che battezzano la loro messa al bando come “editto in salsa genovese”. La voce di sarcasmo rimanda all’editto bulgaro di Berlusconi contro Biagi, Santoro e Luttazzi. E proprio di “una gestione privatistica di un partito degna del miglior Berlusconismo” parlano i diffidati, che non nascondono l’amarezza per “modi che rimandano alla peggior partitocrazia italiana”. Tanto da ribattezzare il blogger genovese “il Re Cieco Beppe”.

“Se il consigliere comunale di Ferrara Valentino Tavolazzi – spiegano – è stato accusato di venir meno al non-statuto e per questo è stato espulso dal Movimento senza esaurienti spiegazioni, il secondo a venir meno al non-statuto è stato proprio Re Beppe. La nostra unica “colpa” è stata solo quella di chiedere spiegazioni in nome della democrazia e trasparenza… nient’altro. Se non fosse così, che il Re e chiunque altro, ci dimostrino il contrario”.

Già nella lettera aperta di una settimana fa (vai all’articolo) infatti i 5 Stelle di Cento chiedevano chiarimenti sui motivi dell’espulsione (Grillo chiarirà che non si trattava di espulsione ma di ritiro dell’uso del simbolo). Chiarimenti che non arrivarono, sostituiti da un altro anatema verso chi si schierava con Tavolazzi.

Quella dei grillini centesi, invece, come sostengono nella replica alla lettera dell’avvocato Michelangelo Montefusco, legale di Grillo, era “una richiesta basata sul principio del MoVimento, “Uno Vale Uno” che provocatoriamente abbiamo utilizzato come “non-simbolo”, ma che sarà sempre nei nostri cuori affinché si possa dare continuità al nostro “progetto” nato due anni fa. Non sapevamo che invece eravamo al cospetto di un Re a cui dovevamo umilmente inchinarci. Un Re però “cieco”, poiché l’accusa agli attivisti di Rimini di “credersi un partito”, potrebbe ritorcersi contro lui stesso”.

“Beppe Grillo – chiudono -, si crede un segretario di partito anzi, un leader anzi, un padre-padrone anzi, un Re. Lunga vita al Re”.

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